Porpora resuscita ad Innsbruck

Il reportage dal festival austriaco

Recensione
classica
Uno spettacolo di cinque ore e due intervalli. È probabilmente con una certa apprensione che il pubblico ha varcato la soglia del Tiroler Landestheater per la scoperta del Germanico di Porpora, opera che, rappresentata per la prima volta Roma nel 1732, è andata in scena in prima moderna mondiale al festival di Innsbruck. Di aria in aria (ve ne sono in totale ventidue più sorprendenti pezzi d’insieme), l’eventuale scetticismo evapora e, senza guardare neanche una volta l’orologio, si arriva alla fine di questa produzione, piena di finezza ed intelligenza. Tra due atti scritti da un compositore di mestiere, quello centrale è un vero scrigno di perle rare, rivelando una tavolozza di colori inconsueti. Ed è un trionfo. Una standing ovation saluta gli artisti e così Porpora, che se fa capolino qualche volta nei recital non ha ancora mai avuto gli onori della scena, si ritrova catapultato tra i grandi. Grazie ad Innsbruck, la rivalità con Haendel non è più solo un aneddoto da manuale di storia della musica: finalmente, le ragioni sono più chiare per tutti.

Diretto a lungo da René Jacobs, il festival di Innsbruck dedicato alla musica antica è ora passato in mano ad Alessandro De Marchi, che dirigeva anche l’orchestra, la “sua” Academia Montis Regalis, nella produzione del Germanico. Il tema di quest’anno è lo Stylus Phantasticus, ovvero l’arte dell’improvvisazione. E d’improvvisazione, in un’opera di Porpora, bisogna essere campioni: per evitare la monotonia, la variazione vocale è d’obbligo e certo il compositore napoletano ne conosceva i segreti che probabilmente insegnava ai suoi pupilli, tra cui i più grandi castrati del Settecento: Caffariello, Farinelli e Porporino (un nome, un omaggio). In realtà, la lista degli allievi di Porpora è ben più lunga: vi figura pure Haydn, segno di una fama internazionale (da Napoli a Londra, da Venezia a Dresda).

Nel Germanico, troviamo lo schema di tanti libretti settecenteschi (questo è di Niccolò Coluzzi). Sullo sfondo vi sono vicende storiche, attinte da Tacito, ma di fatto è più una rivalità tutta privata (e solitamente amorosa) che regge la trama: Germanico tenta di instaurare la pax romana a dispetto delle resistenze di Arminio, signore germanico, sostenuto questi ultimo dalla moglie Rosmonda ma tradito dal suocero Segeste e dalla cognata Ersinda, innamorata dell’ufficiale romano Cecina. Due sono dunque le coppie antagoniste: Germanico/Arminio, Rosmonda/Ersinia. Quanto basta per alimentare una vicenda che rigurgita ogni tipo di passioni. Ovviamente, per una produzione di un’opera del genere ci vogliono essenzialmente cantanti di primo piano. Domina la scena il controtenore australiano David Hansen (Arminio): scenicamente sempre credibile, si rivela un ottimo attore. Anche vocalmente, regge l’urto, variando dal tono bellicoso a quello del lamento. Bravissima pure Patricia Bardon nel ruolo eponimo. La sua è una voce scura perfettamente adatta a questa parte, ovviamente concepita per un castrato. Con caratteristiche vocali assai contrastanti, l’una più volta al patetico e l’altra alla leggerezza, Klara Ek e Emilie Renard rendono perfettamente le due sorelle, Rosmonda e Ersinda. Il tenore Carlo Vincenzo Allemano conquista sia per il virtuosismo di cui fa prova sia per la dizione impeccabile (qualità questa non proprio diffusa nel cast).

La regia di Alexander Schulin è semplice, essenziale, ma sostiene efficacemente lo spettacolo, conferendogli varietà e coerenza: sarebbe potuto essere una sfilza di arie con da capo e invece Schulin asseconda la drammaturgia musicale del Germanico. Alessandro De Marchi dirige l’Academia Montis Regalis con maestria stilistica. Sguazza in queste acque, il direttore italiano, artefice di questa bellissima produzione.

Tra i tanti concerti, merita una menzione speciale il “Gala für Maria Theresia”: un programma di arie di Hasse e di Gluck offerto da Valer Sabadus e Sunhae Im insieme alla Hofkapelle München diretta da Rüdiger Lotter. Tale concerto ha prolungato il bel disco di estratti da opere di Gluck (con una rarità di Sacchini) appena uscito (Sony) in cui ritroviamo Sabadus e l’ensemble di Monaco diretto questa volta da De Marchi. Purtroppo, la pessima acustica del salone del palazzo di corte di Innsbruck ha pesantemente penalizzato gli artisti che hanno fatto quello che hanno potuto per dimenarsi tra il rimbombo e un’afa asfissiante. Sabadus si è rapidamente attratto a sé tutti i favori grazie ad un timbro quanto mai “naturale”, ad una virtuosità impeccabile e ad un volume che ha recentemente assunto spessore.

A pochi chilometri da Salisburgo, senza lo stesso sfoggio sfavillante di abiti da sera e macchine di lusso, il festival di Innsbruck è sicuramente un appuntamento da non perdere, specie per gli appassionati di repertorio sei-settecentesco. Tra l’altro, il concorso Cesti, che ad Innsbruck ha composto l’Orontea, ogni anno sforna nuovi giovani cantanti, prontamente arruolati per una nuova produzione. L’opera “giovane” di questo anno è l’Armide di Lully, affidata alla direzione di un maestro del genere: il francese Patrick Cohën-Akenine che si è portato dietro in Austria il suo raffinatissimo ensemble Les folies françoises. Complice del direttore, la regista Deda Cristina Colonna per uno spettacolo che si annuncia come un vero bijou.

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