Messaggi d'opera

Il Festival di Macerata

Recensione
classica
Mi piace quello che Francesco Micheli scrive nella nota di presentazione di questa stagione del Macerata Opera Festival: «…ogni sera la nostra lingua e la nostra musica invadono i teatri, da Sydney a San Francisco, da Buenos Aires a Tokyo tramite il linguaggio che da sempre fa parlare italiano al mondo intero: l’Opera. Onore dunque al primo vero esperanto che ha fatto innamorare di noi tanti stranieri». Quello che Micheli non scrive, ma che lascia intendere non solo ogni volta che rivolge le sue parole al pubblico, ma soprattutto attraverso gli allestimenti, è la sua convinzione che l’opera contenga messaggi universali e sempre pregni di significato, declinabili nella loro polisemicità in vari tempi e luoghi mantenendo il proprio potenziale comunicativo forte. E i destinatari di questa comunicazione, pur all’interno di una manifestazione che ha anche un sapore, perché no, turistico (penso alle file di pulmann di olandesi, tedeschi, inglesi che intasano ogni sera le strade più prossime all’arena Sferisterio) sono soprattutto i giovani. Micheli non rinuncia a parlare alle centinaia di studenti che affollano la platea nelle prove generali, e offre allestimenti che proiettano i personaggi nel presente, rendendo lo spettacolo teatrale uno strumento di denuncia, o di riflessione, o di espressione poetica. Giovani sono la maggior parte degli artisti, registi, cantanti, direttori d’orchestra, e questa attenzione verso il mondo giovanile mi sembra proprio la cifra che anima il lavoro del direttore artistico da quattro anni.

Così abbiamo visto un Rigoletto ambientato nella contemporaneità, dove il duca si trasforma in un boss malavitoso e la sua corte in una banda di spacciatori e prostitute che bazzicano un luna park di periferia; il protagonista non è un gobbo deforme ma un clown dimesso e malinconico che vive in una roulotte con la figlia. Il regista Federico Grazzini ha sottolineato lo spessore di questi due personaggi chiedendo un’interpretazione intima, dolente e assai poco gestuale, contrapposta allo sfoggio di volgarità del duca e della sua corte. Ben riuscito e poetico il finale, con Rigoletto chino sul sacco a terra, e l’apparizione in veste bianca di Gilda, come in una visione, che canta gli ultimi versi di addio al padre.

Ugualmente ambientata nel mondo contemporaneo Bohème di Leo Muscato, allestimento già presentato allo Sferisterio tre anni fa ed insignito del Premio Abbiati: uno squarcio fresco e coloratissimo degli anni 60/70, tra zeppe e zampe d’elefante, dove il caffè Momus diventa una discoteca, la Barriera d’Enfer una fabbrica occupata e la soffitta dove Mimì muore una stanza d’ospedale.

Cupa e spoglia invece la scena di Cavalleria e Pagliacci: solo una grande scala in stile liberty al centro del palcoscenico, ben riusciti giochi di ombre sul muro di fondo scena, costumi fine Ottocento, molto belli e con splendidi accostamenti di colori per Pagliacci. Unica perplessità in quest’allestimento di Alessandro Talevi è stata l’apparizione della Madonna in persona che nell’Intermezzo si presenta a Santuzza: mi è sembrata un’operazione gratuita, senza significato. Nei cast, è svettata Anna Pirozzi, nei ruoli di Nedda e Santuzza, affermatasi due anni fa a Salisburgo con Muti: voce splendida, di grande spessore pur nell’immenso palcoscenico all’aperto, duttile in tutti i registri, espressiva. Ma ho apprezzato anche Rafael Davila nei ruoli di Turiddu e Canio, voce piena e di bel colore, anche se a volte si slabbrava nei vibrati degli acuti; così come lo Sparafucile di Gianluca Buratto, la limpidezza della Gilda di Jessica Nuccio, il bel timbro di Celso Albelo nel ruolo del Duca, e la raffinatezza di fraseggio del Rigoletto di Vladimir Stoyanov, voce tuttavia che mi è sembrata poco adatta ai teatri all’aperto. In Bohème le prove migliori sono state quelle di Arturo Chacón-Cruz (Rodolfo) e Damiano Salerno (Marcello); per Mimì avrei preferito un voce più cristallina e delicata rispetto a quella scura di Carmela Remigio. L’orchestra Form e il coro “Bellini”, preparato da Carlo Morganti, hanno dato il meglio di sé nelle direzioni di Christopher Franklin (Cavalleria e Pagliacci) , David Crescenzi (Bohème) e Francesco Lanzillotta (Rigoletto).

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