Presenze d'Africa/2: clima africano

Vieux Farka Touré, i toscani-africani e la festa finale

Recensione
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In modalità festival, con le orecchie bene aperte, mi sono addentrato in una Firenze dal clima africano. Poche le soddisfazioni acustiche del paesaggio sonoro – se si escludono un paio di versioni di Bocelli suonate alla chitarra classica da un inglese in Piazza della Signoria, e la canzone del Radio Taxi che accompagna tutte le telefonate per avere una macchina (immagino si intitoli “Radio Taxi”, che è anche l’intero contenuto del testo). Pochi suoni ma, indirettamente stimolato dal Festival ad Désert, la scoperta di una Firenze multietnica - e contro-turistica - ricchissima. Una “presenza” africana che fa del festival alle Cascine qualcosa di diverso dal solito “marziano” calato sulla terra con il suo carico di alterità. Il simbolo di questa afro-toscanità è Gabin Dabiré, che in Toscana ha casa e accento, e che arriva sul palco per la lunghissima festa finale, una jam session diretta da Cheick Tidiane Seck che accosta musicisti già incontrati nel corso della tregiorni e new entry, fra Italia, Africa e India. Brillano nel vasto numero il carismatico Badara Seck e la siciliana Matilde Politi, interprete anche di un interessante set acustico in primissima serata.
Le musiche che si generano non sono tutte riuscite: peccano per eccesso di tecnica e di entusiasmo, e finiscono a tratti appiattite in una funk-fusion non troppo originale. È un peccato, ma è un peccato perdonabile (perché se da solo l’incontro tra musicisti non basta a fare la musica bella, va accettato come semplice luogo dell’esperimento) e emendabile: perché – speriamo - i progetti ascoltati avranno modo di affinarsi e crescere nel tempo, in attesa del festival “madre”, in gennaio a Timbouctou.
La serata si era aperta con Vieux Farka Touré, che - a dispetto del nome - è giovane e – come indica il nome – è figlio del grande Ali, e non lo nasconde. Il giorno prima avevamo visto negli Amanar un aggiornamento in chiave meno locale e meno classica della musica dei Tinariwen, loro padri adottivi. Un tragitto verso il mondo che ritroviamo anche in Vieux, il cui “african blues” suona meno classico – in rapporto al suono del padre – e più libero, capace di virare ora verso le altre musiche del continente, ora – complice la distorsione – verso il blues-rock inglese, con elettrizzanti passaggi che rimandano ai Cream, e non solo nello stile chitarristico. Anche questa è una delle chiavi di lettura della prima (sperimentale e riuscita) edizione del Festival au Désert - Presenze d'Africa: musiche africane non classiche, non scontate, esaltanti e non esaltanti, ma tutte libere di fare un po’ come gli pare.

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