Firenze: musica in Villa

Musica contemporanea a Villa Romana

Recensione
classica
Piccoli festival crescono. Nell’elegante location di Villa Romana la quinta edizione di music@villaromana, in tre serate oltre le mille sfaccettature della proposta contemporanea: ambiente informale, spuntini, pubblico affezionato, l’emozionante vicinanza con i musicisti. Tutto gratuito. La linea tematica della prima serata affascinante quanto rischiosa: cercare una possibile correlazione tra la forza visionaria della parola e la musica. “Trance-Tromer: Words and Sounds around Tomas Tranströmer” questo è: esplorare le liriche del poeta svedese Tomas Tranströmer – Nobel per la letteratura 2011 – per costruire con il repertorio musicale una drammaturgia, un percorso emozionale. D’istinto verrebbe da dire niente di nuovo sotto il sole, in realtà infiniti sono i progetti con queste ambizioni più o meno riusciti, ma la scelta di rinunciare alla presenza di un lettore in sala a favore della proposizione di contributi estemporanei, letture registrate raccolte tra amici compositori e interventi di elettronica, depura la serata dai rischi di prevedibilità.

Il pianoforte di Emanuele Torquati e il violoncello di Francesco Dillon guidano la serata spaziando tra repertori avventurosi, da Schumann ai brani commissionati a Silvia Borzelli e Laurence Durupt, attraverso Sciarrino, Litz, Britten, Grieg, Adès, Skrjabin. Questa ampia visione musicale aderisce con modalità e peso diverso con i testi ma tutto rimane su un piano formale e comunicativo piacevole, senza appesantimenti intellettualistici. La poesia di Tranströmer carica di simboli surreali, iconografie, e religiosità sottotraccia, ben si immerge nel ”l’allegretto per violoncello e pianoforte” di Grieg con i suoi momenti quasi celestiali, in una cantabilità mai scontata. Funziona anche con i contrasti forti come quelli tra i tratti drammatici e inquieti di “Darknesse visible” per pianoforte solo di Adès e la mobilità elegante e brillante di “Dialogo” di Britten. Il violoncello di Dillon è messo a dura prova da “Ai limiti della notte” di Sciarrino nel suo enigmatico sviluppo radicale, con grumi di suono che galleggiano tra visioni e silenzi. Convincenti i due brani commissionati. “Further” della Borzelli si apre con un lampo dal sapore sporco, romitelliano, poi le frasi ripetute, il gioco ossessivo di rimandi del pianoforte preparato con puro ruolo percussivo disegnano un brano chiuso. Il finale è quasi silenzio con la tastiera sfiorata e le corde strisciate. “A mother of stone” di Durupt costruisce, in un linguaggio asciutto e frammentato, un arcipelago di isolette attraversate da fermenti ritmici, rigogliose, che però rimangono lontane. Come i due strumenti.

Il secondo appuntamento parte dal tardo pomeriggio per concludersi oltre la mezzanotte: una girandola irrefrenabile di proposte, suoni e gesti. Si comincia con un focus sui compositori inglesi residenti Joanna Bailie e Matthew Shlomowitz che vede impegnati Mark Knoop al pianoforte e Dillon al violoncello. Due mondi lontani ma coinvolgenti. La Bailie con “Trains” su una base di registrazioni d’ambiente quotidiano e di natura (vento, stazione ferroviaria, cantieri) traccia uno sviluppo sonoro contraddittorio. Il violoncello con tentazione romantiche e lirismi, il pianoforte in una linea costante, a tratti entrambi oscurati dall’elettronica, sembrano vagare indifferenti a tutto ciò che succede intorno. Knoop si confronta poi con “Popular contexts 2” per pianoforte ed elettronica. Una vera sorpresa la costruzione di questo brano, molte le problematiche per l’esecutore superate con successo. I suoni campionati più disparati (chitarre, acqua, frullatori, sirene, passaggi di F1, batteria, sax…) adagiati su accordi energici ripetuti, motivetti orecchiabili dal retrogusto pop disegnano quadretti ironici, dadaisti, in un rigore di costruzione e narrazione ineccepibile. Il pianista si trasforma in saltimbanco, davanti alla tastiera canticchia brevi frasi, muove le braccia come un vigile urbano ad un incrocio poi lascia lo sgabello per una performance gestuale (il chitarrista rock, il sassofonista). Termina suonando una immaginaria tastiera nello spazio mentre passa un aereo a bassa quota. Di Shlomowitz ci godiamo nella seconda parte altri due brani dove di nuovo gestualità e sonorità dialogano in modo sorprendente. Un tipo da tenere d’occhio. L’ensemble Alter Ego come apertura serale ci presenta uno dei capolavori di Fausto Romitelli: la seconda delle “Domeniche alla periferia dell’impero”. Da una formazione che conosce e interpreta da tempo questi materiali ci aspettavamo di più. L’esecuzione è parsa troppo trasparente. La trama inquieta, la densità romitelliana, le metamorfosi sonore cui si sviluppa la composizione rimangono scollegate, episodiche, finezze e sensualità della costruzione drammaturgica svolazzano via. Meglio, molto meglio il “Trio n.2” per violino, violoncello e pianoforte di Sciarrino. Sui suoni lunghi, quasi sibili, e gli unisoni delle corde il pianoforte crea sospensioni, fissa improvvisi segni di interpunzione. Il trio costruisce uno scenario di coinvolgenti figure concentriche che non si chiudono mai. Chiude la tastiera percossa, nuclei ritmici violenti ripetuti che lasciano nell’aria un senso di fascinosa incompiutezza.

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