Da Pitagora a Schaeffer

Parma: Musica acusmatica

Recensione
classica
Al festival Traiettorie si Parma per un concerto di musica ‘acusmatica’. Cos’è? Il termine è di Pierre Schaeffer, il padre della musique concrete, che lo usò per definire l’ascolto di musica elettronica in assenza di esecutore. Prese a prestito il nome dalla pratica con cui i discepoli di Pitagora ascoltavano il filosofo parlare nascosto dietro uno schermo perchè potessero meglio concentrarsi sui processi logici del suo discorso. Noi (una cinquantina di persone, tutto esaurito), siamo seduti in cerchio intorno al ‘lampadario sonoro’, un cassone circolare appeso a tre metri di altezza pieno zeppo di diffusori, circondati da altri altoparlanti disposti intorno alla sala per realizzare la famosa spazializzazione del suono, ovvero l’effetto di un movimento del suono nello spazio. Questo ci si può permettere alla Casa del Suono di Parma, un lusso (dei bei tempi andati) dedicato alla sola riproduzione sonora e ai suoi strumenti. Prevenuto dal programma, mi siedo il più discosto possibile dagli altri, rivendicando il mio diritto di libero spettatore armato di smartphone. Per la verità non faccio molta fatica, in assenza di esecutore infatti ci si rilassa, a luci accese (ottima idea), pensando ai fatti propri senza tanti rituali e senza i patemi dell’esecuzione dal vivo. Sui primi vagiti ancestrali di Cybernetics I, comincio a leggere. “Roland Kayn, compositore tedesco, anni Sessanta. Pioniere delle musica elettronica, affida la riproduzione e l’organizzazione di suoni a strumenti di calcolo elettronici abbandonando gli elementi narrativi e psico-emozionali abitualmente associati all’idea di ‘autore’ e di ‘opera d’arte’”. Seguo a fatica la mia lettura, distratto da un latrato canino che proviene dall’oltretomba, dal canto di un gallo, mi pare, da un barrito, da voci umane... Vengo risucchiato da un mondo sonoro che vive di vita propria, e inizio un viaggio interstellare che prosegue con le esplosioni di Voyage absolu des Unari vers Andromède (Xenakis, 1989). Ancora intorpidito, sento già scoppiettare i primi ‘granuli’ sonori di Always (Curtis Roads, 2014), quando ipnotizzato mi vado a sedere sul divanetto circolare che sta proprio sotto il lampadario. “Qui sotto”, mi dice una fanciulla dal viso pulito, “è meraviglioso”.

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