Dal Birdland a Capo Verde

Cinque dischi per ricordare Horace Silver

Recensione
jazz
Con la morte di Horace Silver se ne va un altro fondamentale protagonista degli anni più infuocati del jazz moderno. Pianista influente (ben al di là dei confini stilistici entro cui si è soliti definirlo), compositore fecondo e fantasioso, leader di grande carisma, Silver ha rappresentato al meglio la capacità di sintesi del jazz del Secondo Dopoguerra, sempre con il sorriso, sempre – almeno fino alla fine degli anni Sessanta – con una qualità musicale non meno che altissima.
Pur essendo impossibile dimenticarlo, suggeriamo qui cinque dischi per riscoprirlo, oppure scoprirlo per la prima volta.

Già collaboratore del suo primo disco in trio, il batterista Art Blakey chiama Silver nei suoi Jazz Messengers per le mitiche serate al Birdland del 1954. Lou Donaldson è al contralto, un pazzesco Clifford Brown alla tromba, Curley Russell è al contrabbasso: non sarà una formazione di lunga durata (il primo "assetto" definitivo sarà quello con Hank Mobley e Kenny Dorham), ma la musica è tutta da gustare ed è un momento chiave della transizione verso l’hard-bop più maturo. Lo spirito di Charlie Parker, che sarebbe mancato un anno dopo, è sempre presente, come in questa "Confirmation".
"Confirmation", dal disco A Night At Birdland With Art Blakey Quintet (Blue Note, 1954)



Pur essendo stato un artista legato fondamentalmente alla Blue Note, Silver registra nel 1956 un paio di sedute per la Epic/Columbia, che confluiscono in Silver’s Blue, disco di grande bellezza, la cui title-track è questo bel blues che vede tra i protagonisti un sornione Hank Mobley al sax tenore.

"Silver’s Blue", dal disco Silver’s Blue (Columbia, 1956)



Tra i tanti temi scritti da Silver non mancano anche ballad indimenticabili come questa "Peace", contenuta nell’imperdibile Blowin’ The Blues Away e che contiene un limpido assolo dello stesso Silver, davvero esemplare per costruzione e economia.

"Peace", dal disco Blowin’ The Blues Away (Blue Note, 1959)



Una mano disegnata da Paula Donohue in copertina. In ciascuna delle cinque dita i nomi dei musicisti del quintetto di Silver: Blue Mitchell, Junior Cook, Gene Taylor e Roy Brooks. È Horace-Scope, uno dei capolavori del pianista, grazie a temi come "Strollin’" o questo "Nica’s Dream", una delle tante gemme dedicate da un jazzista alla Baronessa Pannonica de Koenigswarter.

"Nica’s Dream", dal disco Horace-Scope (Blue Note, 1960)



Le origini capoverdiane (per via paterna, quel padre già omaggiato in "Song For My Father") di Silver sono esplicitamente ricordate in questo lavoro del 1965, con la splendida linea di fiati costituita da Joe Henderson al sax tenore e Woody Shaw alla tromba, nonché in alcuni brani dal trombone di J.J. Johnson. Di strettamente capoverdiano, musicalmente parlando, non c'è molto, prevale piuttosto un colore afro-latino, ma il disco è ottimo, come ben si capisce da questa "The African Queen".

"The African Queen", dal disco The Cape Verdean Blues (Blue Note, 1965)

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