Le vie del jazz italiano

Il "fondo Franceschini" e i problemi del settore, dalla Casa del Jazz al festival di Bari

Recensione
jazz
Sta per iniziare l’estate dei Festival (ne parleremo nel numero di luglio/agosto del “gdm”) e il mondo del jazz non si fa mancare – giusto così! – novità e polemiche di cui discutere. Animatamente sui social network, un po’ meno in quelli che una volta conoscevamo come gli spazi "deputati" al confronto, ma - fino a qui - niente di nuovo.

La "novità" più succosa è certamente l’annuncio, da parte del Ministro Franceschini, della creazione di un fondo straordinario di 500mila euro per il jazz, cosa che ha suscitato curiosità e al tempo stesso una più o meno ironica diffidenza, sia perché la cifra non è proprio astronomica, sia perché, al momento, non è ancora ben chiaro a chi possano andare questi finanziamenti. Alla genericità dell’informazione circolata e alle conseguenti critiche preventive ("tanto se li prenderanno sempre i soliti" e così via) non ha certo contribuito l’operato della stampa, che si è limitata prevalentemente a riportare la notizia e basta, magari aggiungendo qualche numero sulla rete dei festival o il commento di Paolo Fresu.

In realtà – e ce lo conferma il collega Stefano Zenni, che era presente e che ringraziamo delle informazioni – lo stesso Franceschini alla conferenza stampa ha specificato un po’ di cose che forse sarebbe meglio sapere prima di iniziare con il "televoto".
Ad esempio che attualmente il fondo è previsto per il 2015, poi si vedrà se funziona.

Oppure che il fondo non si sovrappone al FUS, quindi non andrà a quelle realtà che dal FUS sono già finanziate.

Che i progetti cui si riferisce il bando saranno nuovi – quindi non cose già esistenti – e quelli in grado di legare jazz e, preferibilmente, turismo.
Che si darà priorità all'imprenditoria giovanile e che i progetti verranno valutati da un'apposita commissione.

Forse temendo di annoiare una ipotetica platea di lettori che i direttori dei giornali si immaginano ormai interamente assorbita dai mondiali, dai primi topless e dai selfie fatti coi gattini, di questi contenuti non si è avuto modo di leggere molto.

Staremo a vedere come proseguirà la vicenda, che è comunque il segnale di un’attenzione da tempo reclamata da musicisti e operatori su queste musiche, anche se è la maturità complessiva dell’ambiente quella che, personalmente, continua a destare qualche perplessità.

Qualche esempio?
La polemica sulla Casa del Jazz di Roma, tanto per incominciare. Che, con tutte le difficoltà che sta attraversando in questi ultimi anni, tra cambi di amministrazione, direzioni vacanti e problemi vari, si ritroverà quest’estate – per più di un mese fino a fine luglio – a ospitare la Festa dell’Unità, evento che lo stesso Matteo Renzi ha inteso rilanciare e che offrirà certamente ottimi concerti, ma che di fatto toglie a quel luogo la specificità per cui è stato, con caparbietà, pensato e strutturato.

Non essendo romano e non avendo probabilmente tutti gli elementi per comprendere appieno il quadro complessivo della situazione, mi limito a segnalare la cosa e il grande dibattito che ne è nato sui social network, ad esempio sulla pagina della Presidente dell’associazione musicisti jazz MIDJ, la cantante Ada Montellanico.

Se Roma piange, anche Bari non ride: al termine del Festival di poche settimane fa sono giunte le dimissioni del direttore artistico, il trombonista Gianluca Petrella (che avevamo intervistato, con altro entusiasmo, proprio per il numero di giugno del "giornale della musica").
Anche in questo caso, vivendo lontano da Bari, ci limitiamo a segnalarvi la lettera di Petrella e, anche qui, un po’ di polemiche serpeggiate nella stampa locale e on-line.

Certo non è nemmeno questo un bel segnale, tra l’altro per un festival che appena due anni fa aveva registrato analoghe dimissioni del precedente direttore, il sassofonista Roberto Ottaviano. Qualcosa evidentemente non va… Credo che, al di là dei casi specifici, quello che manca al mondo del jazz italiano oggi sia una maturità strategica che consenta di tentare nuove – e sostenibili – strade per la promozione delle musiche che intorno a questa controversa definizione girano, per la formazione di un pubblico che non sia solo quello della birra in piazza d’estate o del nome pop spacciato per grande del jazz.

In questo senso anche il riferimento al rapporto con il turismo, presente nelle parole di Franceschini, ma ricorrente in molti discorsi sul rinnovamento del sistema dello spettacolo dal vivo nel nostro paese, è esso stesso un elemento delicato, certamente fondamentale per innescare una serie di processi economici che diano sostenibilità al settore, ma non esaustivo delle necessità di creazione di nuove comunità – anche non turistiche – per il jazz.

Come andrà a finire? Ne riparleremo presto.

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