Torino Jazz Festival 2 | Troppo laterale

Abdullah Ibrahim da dietro il palco, e Mulatu Astatke da dietro gli ombrelli

Recensione
jazz
Ironia della sorte, dopo aver esaltato la visione laterale nelle fotografie di Guy Le Querrec, e averci costruito intorno un blog, sono stato io stesso vittima della "visione laterale". Sarà pure romantica, ma ha le sue controindicazioni.

Domenica pomeriggio, in colpevole ritardo, in una Torino sotto il diluvio (fanno fede le immagini del derby), la zelante maschera si rifiuta di farmi entrare al Teatro Regio per il concerto di Abdullah Ibrahim (in origine previsto in Piazza Valdo Fusi ma spostato causa diluvio). Per fortuna sono sulla stessa barca con il direttore artistico Stefano Zenni: non fanno passare nemmeno lui. Alla fine mi accolgono dietro il palco, fra i vigili del fuoco, i tecnici e le macchine di scena. Il concerto lo seguiamo così, nella completa schizofonia: Ibrahim è a due metri scarsi, ma invisibile da dietro le quinte. C’è solo un piccolo monitor, e il suono ripreso dalla sala ritrasmesso da piccole casse di servizio. Più laterali di così…

Da davanti raccontano di un concerto memorabile, con tanto di standing ovation finale: un set da un’ora e mezz’ora esatta di bis, di improvvisazioni liriche e cogitabonde, molta melodia, e non poche aperture blues (i momenti migliori). Da dietro, per quello che si sente, si avverte qualche momento in cui Ibrahim fa melina senza andar da nessuna parte, e qualche occasionale incertezza. E una finezza (colta da Stefano Zenni): il set si chiude sulle note dello standard “Here’s That Rainy Day”…

Immagine rimossa.
Visione laterale di Abdullah Ibrahim

Appunto. Fuori la pioggia non cessa, e Mulatu Astatke suona davanti ad una Piazza Castello affollata solo dai più coraggiosi (non sono comunque pochi). Da dietro il muro di ombrelli si vede davvero poco: il maxischermo aiuta, ma il fuorisincrono irrita tanto quanto l'umido nelle ossa. Poco male: con i suoi Steps Ahead, il “padrino dell’ethio-jazz” suona a memoria, e mette insieme un set da ricordare a lungo. Brillano, nel sound composito di funk africano, percussioni latin, rumba cubana (e congolese) e quant'altro, il tastierista Alex Hawkins, il contrabbasso gommoso di Matt Ridley e il violoncello di Danny Keane. Quest'ultimo spesso insegue o raddoppia le parti della sezione fiati, contribuendo in maniera decisiva alla pasta sonora del tutto. Astatke, da bravo bandleader, lascia ampi spazi ai solisti e spesso lascia il vibrafono limitandosi a dettare i tempi con le percussioni
Se non si dovesse tenere l'ombrello, si potrebbe pure ballare.

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