Si crede Stockhausen

Si conosce l'arte contemporanea, ma non la musica di oggi

Recensione
classica
Si crede Picasso è l’ultimo libro di Francesco Bonami, dopo il successo de Lo potevo fare anch’io. Una galleria di quaranta artisti contemporanei noti al grande pubblico, da Joseph Beuys a Damien Hirst, da Louise Bourgeois a Gilbert & George sino all’immancabile Maurizio Cattelan. Bonami parte dall’assunto che esistano buoni e cattivi artisti, ovviamente, ma soprattutto artisti veri e altri che dell’artista hanno solo l’aura, l’atteggiamento o l’abbigliamento, ma che – insomma – artisti veri non sono. La differenza tra i primi e i secondi starebbe nella sincerità dell’opera, dunque i veri artisti – buoni o cattivi che siano – producono un’arte inevitabile, necessaria, e soprattutto con un’anima. Bonami l’arte contemporanea la conosce come pochi, ne è un’autorità internazionale. Le sue opinioni sono sempre interessanti e altrettanto spesso si accompagnano a battute fulminanti, per quanto lo stile sbarazzino e disinvolto “a tutti i costi” alla lunga divenga una iattura: come quando a qualcuno dicono che è simpatico e da allora non la smette più di raccontare barzellette. Meno cristallino, rispetto alle opinioni, è il metodo per dimostrarle, al punto che talvolta le argomentazioni che servono a fare di qualcuno un artista vengono adoperate per bocciare qualcun altro. Ma, si sa, nell’arte la scientificità non esiste, e allora teniamoci almeno le opinioni, che – per motivi che attengono più al territorio del gusto e dell’estetica che a quello della logica – funzionano benissimo. Il punto, però, è un altro, e cioè che sarebbe impensabile, almeno in Italia, un simile libro sulla musica contemporanea. Per almeno tre motivi, e nessuno dei tre rappresenta, diciamocelo, una bella notizia: 1) Il grande pubblico conosce Sigmar Polke, Gerhard Richter e Michelangelo Pistoletto, ma ignora – senza alcun senso di colpa – chi siano Ligeti, Andriessen, Hosokawa e Adams. Dunque, semplicemente, un omologo del libro di Bonami non si venderebbe. 2) I musicologi italiani si sentono orgogliosamente incapaci delle semplificazioni e degli sberleffi, piuttosto sono pronti a scrivere orrori tipo: “l’autore utilizza il materiale musicale in senso palindromo con una insistenza sul tritono e sulla riverberazione e la polverizzazione intervallare che si estrinseca in un riempimento frattale dello spazio diastematico” o similia. Magari nel corso di una conferenza su come avvicinare la musica al grande pubblico. 3) Parlar male di un compositore (a meno che non sia americano) è considerato un atto di lesa maestà. Il meglio che possa capitare all’autore dell’oltraggio è subire una raccolta di firme. Quando qualcuno pubblicherà (e venderà) un libro come quello di Bonami sulla musica di oggi, sarà dunque una buona notizia. In ogni caso.

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