Bergamo Jazz 1| Il pubblico di Bergamo

Da Ribot a Dino Piana per la prima giornata del festival diretto da Rava

Recensione
jazz
Trentacinquesima edizione del Festival Jazz di Bergamo, la seconda con la curatela di Enrico Rava. Puntuale con l'arrivo della primavera, anche se le previsioni del tempo, compulsate con ansia leggera sugli smartphones, non sembrano ancora totalmente di questo avviso.

E puntuale come da qualche anno è l'apertura negli spazi della Gamec, la Galleria di Arte Moderna e Contemporanea che in questo periodo ospita anche un'interessante mostra sulla pop art argentina e brasiliana. Protagonista del primo concerto è Marc Ribot, che porta, complice anche la gratuità dell'accesso, una vera e propria folla a stipare la sala del museo.
Da solo con la chitarra acustica, Ribot si lascia andare a un recital in cui convivono – a volte fianco a fianco in imprevedibili medley – l'Ayler di “Love Cry” e le composizioni di Frantz Casseus (il compositore haitiano cui il chitarrista ha dedicato uno splendido disco), il Coltrane di “Sun Ship” e standards come “The Nearness Of You” o “Smoke Gets In You Eyes”. Le dita di Ribot si muovono magicamente sulle corde, sotto gli occhi rapiti di un gruppo di bambini seduti in prima fila, il pubblico ripaga l'incanto con un calore che quasi sembra travolgere il consueto svagato understatement del musicista americano. Una partenza davvero col botto!

La sera, come di consueto, si accendono le luci sul Teatro Donizetti e qui una piccola premessa non sarà inutile. Con un teatro così grande da riempire per tre sere, è evidente che il Festival deve potersi aprire a un pubblico che non è solo quello degli appassionati e degli intenditori, magari un pubblico una parte del quale si ricorda del jazz solo questi tre giorni l'anno, ma che non per questo è meno degno di rispetto. Chiaramente in questa prospettiva le scelte artistiche hanno buona probabilità di essere meno coraggiose e di privilegiare linguaggi e artisti che danno alla platea certezze e conferme più che nuovi stimoli. Questa prima serata è in questo senso piuttosto emblematica.



Immagine rimossa.
Marc Ribot

Il primo concerto, fortemente voluto da Rava, è un doveroso omaggio al trombonista Dino Piana, veterano del jazz nazionale: il settetto guidato da Piana con il figlio Franco è forte di strumentisti talentuosi come Fabrizio Bosso (tromba), Max Ionata (sax) o Roberto Gatto (batteria), ma la musica scorre secondo coordinate davvero troppo prevedibili per un Festival di livello internazionale. Sia dal punto di vista formale (tema, serie di soli, tema), che da quello degli elementi linguistici (un mainstream accurato nella confezione, ma privo di qualsiasi originalità), la musica del gruppo mi sembra davvero noiosa, ma la reazione entusiasta del pubblico – che trova evidentemente e rispettabilmente rassicurazione da formule ormai abusate – è un segnale inequivocabile che la scelta di Rava ha funzionato.

Un discorso analogo si può fare anche per il secondo concerto serale al Donizetti, quello del cantante Gregory Porter. Il suo è un jazz venato di soul e R&B, estremamente professionale e sincero nella sua dichiarata vocazione di intrattenimento di qualità. Il quartetto che lo accompagna non è formato da nomi famosi, ma funziona bene (seppure gli assoli a mitraglia del sassofonista giapponese Yosuke Sato dopo un po' risultino stucchevoli) e sorregge ottimamente una vocalità matura e personale. È bravo, Porter, molto bravo, sebbene ampiamente derivativo (Marvin Gaye, Nat King Cole, Oscar Brown Jr. sono solo alcuni riferimenti che vengono in mente). Fa sognare la platea con la gettonata “Be Good”, ma affronta anche il Coltrane di “Equinox” e lo Shorter di “Black Nile”, oltre a standards come “Bye Bye, Blackbird” o “Work Song”. Il pubblico si diverte e lui lo ripaga con una versione a cappella di “Mona Lisa”, prima di farsi travolgere con grande disponibilità dai tanti in caccia di un autografo sul disco o di una foto abbracciati a questo omone con l'inseparabile cappello nero.
Dato al pubblico quel che vuole, ci prepariamo per domani. Nel pomeriggio c'è grande attesa per il trio del trombettista Peter Evans e c'è da scommettere che anche abbandonando le certezze, non mancheranno le emozioni.

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