La musica colpita al cuore

Il Conservatorio e la fiction Rai

Recensione
classica
Non appartengo a quel nutrito gruppo di persone che dichiara orgogliosamente di non avere il televisore in casa. Io ce l'ho e, ogni tanto, mi capita persino di accenderlo. Così, giorni fa, ho voluto guardare "La musica del cuore", miniserie prodotta dalla Rai. È ambientata a Monopoli (per qualche bizzarro motivo divenuto, qui, Montorsi - paese immaginario), precisamente nel Conservatorio (non Nino Rota ma Durante, compositore pugliese della scuola napoletana). Non sono un critico televisivo, dunque rimando alla relativa nota - piuttosto severa - di Aldo Grasso sul Corriere della Sera di qualche giorno fa. Non sono un politico, per mia fortuna, e ho trovato pretestuosi e insulsi gli attacchi (populisti e demagogici, d'altro canto siamo in campagna elettorale) di una parte politica contro la Apulia Film Commission che coproducendo la miniserie avrebbe avallato implicitamente accuse di mafiosità della terra di Puglia (c'è un accenno alla criminalità mafiosa, vicende ambientate nel porto del paese, contrabbando etc.). Le responsabilità qui sono ben altre, a mio giudizio.

Da musicista trovo che lo sceneggiato restituisca una immagine assolutamente fedele e dunque desolante di un'Italia in cui, ormai, la musica seria è sparita dal panorama culturale. Vado a memoria e cito solo alcune perle di una sceneggiatura ridicola e irritante.
Il docente che mostra all'ispettrice ministeriale l'aula di orchestrazione (!!!!), lo stesso docente che, impartendo una lezione di esercitazioni orchestrali, insiste nel sottolineare - con toni esaltati, che faranno scattare nell'ispettrice una prima freccia di Cupido - la differenza, udite udite, tra legato e staccato. I ragazzi, naturalmente, suonano un Valzer di Strauss. La musica che si ascolta in questo sceneggiato è quanto di più lontano dal tipico repertorio che echeggia nelle aule di Conservatorio. Ci sono persino le Quattro Stagioni di Vivaldi che il nostro docente, sempre lui, astutamente colloca per solstizio o equinozio corrispondente, per cui - allo scoccare della primavera, eccovi servita la Primavera. Ma non nella sua versione originale (persino l'armonia di Vivaldi è troppo complessa o poco ammaliante, evidentemente, per i consulenti musicali), per cui senza batter ciglio i ragazzi - sulla spiaggia, luogo deputato ai cambi di stagione? - eseguono la Primavera in una nuova armonizzazione che riduce il brano ad una sorta di jingle pubblicitario buono per vendere una mozzarella o una merendina. E che dire del Trio op.100 di Schubert eseguito qui in duo? Saranno i tagli alla spesa pubblica, forse, ma trovare un brano originale per pianoforte e violoncello era così complicato? Il massimo del massimo è poi l'immagine della classe di pianoforte riunita con solennità in un'aula mentre un ragazzo suona, con concentrazione degna del X Klavierstück di Stockhausen, la prima Gymnopedie di Satie. E, confondendosi evidentemente con Vexations (un breve brano di Satie che deve ripetersi alcune centinaia di volte dando luogo a vere maratone) i ragazzi, tra l'ammirato e l'incredulo, annunciano che il nostro giovane pianista eroe è alle prese con una sfida monumentale: l'opera omnia di Satie. Il senso del ridicolo si supera ancora in altri momenti, come quello dell'alternative tra Ysaÿe e Caikowski, la cui musica viene definita con aggettivi che si attaglierebbero di più ad un'acqua minerale (un po' come altissima, purissima, levissima).

L'elenco degli orrori potrebbe durare a lungo, ma alla fine quello che lo sceneggiato ci consegna, o ci regala, è la risposta al perchè Allevi abbia tanto successo: la musica che fa è esattamente quello che i ragazzi (e più in generale la gente)senza cultura musicale pensano debba essere il pianoforte oggi, e per estensione la musica classica. Una sola considerazione mi viene da fare, a questo punto. Siamo così sicuri che la vera urgenza del Paese sia quella di alfabetizzare la popolazione italiana alla musica? Io non credo. Quello è un compito importantissimo, per carità. Ma lo è in condizioni di "pace". Noi invece siamo in guerra. Contro l'incultura saccente che invita a uscire dalle torri d'avorio, che accusa la musica seria di essere troppo difficile, che pretende che la legittimazione di qualunque cosa debba derivare dal numero di persone coinvolte. La vera emergenza oggi è affermare con forza, starei per dire con violenza, le ragioni della musica indipendentemente dal consenso, dal seguito, dalla legittimazione popolare, da tutto. La musica per sè. Punto. Che ciascuno si senta libero di esercitarla dovunque, anche nelle torri d'avorio, che saranno luoghi poco frequentati, ma almeno ci risparmiano certe nefandezze. Insomma, per carità, avviciniamo la gente alla musica; ma soprattutto, mi viene da dire - assistendo a certe pagliacciate - allontaniamo la musica da certa gente...

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