Medimex 2 | Geografia, politica, identità

Riflessioni sulla seconda edizione della Fiera pugliese

Recensione
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Dopo tre giorni di fiera vissuti ad un ritmo molto elevato, fra moltissimi incontri e moltissimi aperitivi a base di vino e tarallini (e ancora moltissimi ascolti di “Meraviglioso”), non sono riuscito a scrivere nemmeno due righe da Bari. Ci provo oggi, rientrato alla base.

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Lo stand verde del "giornale della musica"

La seconda edizione del Medimex si è chiusa domenica 2 dicembre, dopo tre giorni alla Fiera del Levante fra l’affollato (sabato e domenica) e il meno affollato (venerdì). Gli showcase serali, punto dolente della scorsa edizione, sono stati spostati in un altro padiglione della Fiera: scelta che è stata premiata da un folto pubblico, anche di non addetti ai lavori. Il Medimex, insomma, è cresciuto, deve ancora crescere, ma funziona: si sa che la “la seconda edizione è sempre la più difficile nella carriera di una fiera”, quindi all'organizzazione vanno meritati complimenti. Qualche considerazione e qualche critica costruttiva.

POLITICA. Il Medimex, piaccia o non piaccia (a me piace), e con tutti i suoi limiti (che ci sono, è inutile negarlo), è un’iniziativa POLITICA (lo mettiamo maiuscolo). È figlio di una politica culturale aggressiva e – per l’Italia - radicale, voluta dalla giunta Vendola, che ha scelto, politicamente, di buttare dei soldi per organizzare qualcosa che durasse e che creasse giro d’affari nel campo della cultura, in un momento la “cultura” rappresenta per buona parte degli enti pubblici italiani una scomoda voce di spesa, che si vorrebbe ma non si può tagliare del tutto, perché – al di là dei bei discorsi sulla sua importanza – dà lavoro a un sacco di gente, al pari delle fabbriche e della scuola. Il motto “La musica è lavoro”, che campeggia a lettere giganti davanti al nostro stand, è insomma la direzione artistica del Medimex. La politica è soprattutto buon governo, e idee per fare buon governo, anche a livello locale: ormai le primarie sono andate, ma ricordiamocelo per il futuro… Vendola, presente per l’istituzionale taglio del nastro (anche D’Alema si è fatto un giretto scortato da organizzatori e vari potenti locali), è poi tornato per i concerti serali: senz’altro per suo gusto personale, ma anche l’avere certi gusti è un fatto squisitamente politico, in fondo…

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Antonio Princigalli, "mente" del Medimex e di Puglia Sounds

GEOGRAFIA. Fra i problemi del Medimex, c’è la sua non centralità geografica. Per molti, il fu-Mei rappresentava l’occasione di incontrarsi di persona con colleghi/amici con cui si lavora quotidianamente. Faenza non vale Bari (come sede, come organizzazione, come tutto) ma è piantata in mezzo alla pianura padana… Inutile nascondersi che molti operatori del centro-nord (le zone “calde” di quel che resta dell’industria musicale) non sono venuti perché, soprattutto in un momento di difficoltà economiche, andare a Bari significa perdere un paio di giorni almeno, e un po’ di soldi: Questo porta inevitabilmente ad uno sbilanciamento di visibilità della Puglia che, seppur voluto (e giustamente: io porto operatori stranieri e italiani a vedere i miei prodotti) dovrà essere addolcito in futuro, pena la perdita di interesse verso la Fiera di molti operatori.

IDENTITÀ. L’impressione, condivisa da molti, è che il Medimex si sia allargato ma non abbia ancora fatto il “botto” sul mercato internazionale, in quanto a presenze. Può valere il discorso fatto sopra, che si estende anche alla programmazione degli showcase. La Fiera si presenta come “Mediterranean Music Expo”, ospita molta world music ma, pur offrendo ampi spazi al rock indipendente e alla canzone d’autore italiani, non appare ancora rappresentativa di quel mondo (che, chiaramente, esigerebbe spazi ben più ampi e rischierebbe di cannibalizzare la componente world). Questa “doppia identità”, mi pare, è ancora da settare: una fiera solo di world music non può star su (non si può e non si deve ambire a fare le scarpe al colosso Womex, ed è bene distinguersi dall’altra fiera “mediterranea”, la marsigliese Babel Med). Ma – se l’obiettivo è anche il mercato estero – la componente non-world deve essere incrementata, e meglio focalizzata. Il premio PIMI, che ha presentato le migliori cose uscite in Italia di recente (fra cui Afterhours, Colapesce…) è un buon inizio, ma la collocazione domenicale ne ha precluso l’accesso a molti operatori (me compreso), anche stranieri, che sono andati via prima. Anche nella programmazione degli showcase la selezione dovrebbe probabilmente affiancare proposte world italiane e internazionali a rock e canzone italiani, ma senza dare l’impressione di pescare qui e là (alcune scelte apparivano di difficile collocazione, o già ben note sul mercato italiano). Insomma, più direzione artistica in questo: le competenze non mancano.

MUSICA. Che si è ascoltato, di nuovo, al Medimex? Qualcosa di interessante è venuto fuori, più nell’ambito della world music, soprattutto perché (e mi ricollego al paragrafo precedente) i gruppi italiani di rock/canzone erano, almeno a me, abbastanza noti (Nobraino, Management del dolore post-operatorio etc. etc.). Le cose migliori.
Radio Babel Marseille, una specie di versione 2.0 di Lo Cor de la Plana: cinque voci, polifonia marsigliese ma con human beat box e un basso (sempre nel senso della voce) ad alzare il tiro, e a creare ritmi e groove ora breakbeat, ora quasi latini, ora quasi dubstep.



Il duo fra Zeid Hamdan e Maryam Saleh, il primo figura di riferimento da più di dieci anni della scena underground di Beirut, la seconda giovane voce egiziana. Zeid parte da un’elettronica (approfondita nei suoi gruppi precedenti) molto soft e debitrice al trip hop anni Novanta: la tavolozza timbrica si è aggiornata, e appare più sintonizzata sui suoni di oggi. Canzoni in arabo, impegno, melodia: la “primavera araba” è anche questa.

Fra gli italiani, Stefano Saletti e la sua Banda Ikona hanno presentato il nuovo Folkpolitik, un viaggio nel Mediterraneo attraverso la canzone di protesta, da Zeca Afonso a piazza Tahrir, il cui “suono” campionato chiude il set di Bari (qui la recensione del disco). Il progetto, con la bella voce di Barbara Eramo e il clarinetto di Gabriele Coen tra gli altri, riesce ad “appropriarsi” di canzoni formalmente lontanissime fra loro, da Ivan Della Mea a Oum Kalthoum, ricostruendone il sound senza snaturarne il messaggio… Visto che si tratta di un progetto di canzoni politiche, probabilmente non si può fare complimento migliore! (Valeva la pena farsi restare sullo stomaco il pesce spada ai ferri per arrivare in tempo: non si vive di soli tarallini).



Ancora, in ordine sparso: le voci di Faraualla; Magnifico (il turbo folk ha fatto il suo tempo, ma lui è un personaggio, e diverte!); la University of Gnawa del “professore” Aziz Sahmaoui; il progetto world-tarro di Dj Click, che si apre con una geniale citazione di “Tammurriata nera” e una sequenza di theremin usato come fosse il piatto di un giradischi, e poi si perde un po’ in soluzioni di maniera; Enzo Avitabile con i bottari, buono per una vetrina internazionale, già sentito per l'Italia - e, a mio avviso, meglio in formazione più ridotta; Insintesi, progetto locale di pizzica in dub con alcune fra le migliori voci sulla piazza salentina: Miss Mykela e le più “tradizionali” Anna Cinzia Villani e Raffaella Aprile, grande tiro. Meriterebbe spazio nei club di tutta Europa, più che nelle rassegne di world music...

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