Manresa, Mediterraneo e indipendenza

Il racconto dell'edizione 2012 della Fira catalana dedicata alla musica "delle radici"

Recensione
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Con involontaria ironia sul loro nome, i Tempvs Fvgit sono arrivati tardi alla coincidenza a Parigi, per cui ora ci tocca aspettarli al bar dell’aeroporto di Barcellona. Devono suonare alla sera alla Seu de Manresa, la sontuosa cattedrale gotico-romanica simbolo della città della Fira, nella rassegna Nostrum – Tresors del la Mediterrània. Avendo incrociato la loro strada casualmente, ho almeno un’ottima scusa per non andare a vedere Noa e il suo progetto sulla canzone napoletana, alla stessa ora dei còrsi ritardatari.

Nostrum è senz’altro la migliore idea della Fira 2012, in un anno di programmazione tutto sommato più debole rispetto agli anni passati – almeno limitandoci alla musica: anche maggior spazio è dato al teatro, al circo, alla danza. L’idea è quella di collocare musiche acustiche e "sacre" - o potenzialmente tali - negli spazi verticali della chiesa. La musica di un quintetto polifonico come Tempvs Fvgit, da Bastia, Corsica, non può che trarne giovamento: l’intreccio delle tre voci – bassi, voce principale e la terza, cui sono demandati gli abbellimenti armonici sugli acuti, sembra letteralmente salire verso la volta, sostenuto dal lunghissimo riverbero. Repertorio liturgico o paraliturgico, trasmesso oralmente da generazioni: così, a poche ore dall’arrivo, incontro subito uno degli eventi migliori dell’edizione 2012.



Non avrebbero sfigurato alla Seu, ma si sono invece esibiti al Teatro Kursaal, i virtuosi polacchi Kroke, vecchia conoscenza del circuito world. La loro proposta odierna è significativamente lontana dal klezmer da cui muovono, e a cui vengono solitamente associati. La formazione a tre con contrabbasso, fisarmonica e viola lascia ampi spazi soprattutto a quest’ultima, non di rado caricata di riverberi e delay: musica di grande suggestione, quasi cinematografica, e non priva di grande ironia in alcuni momenti.

La Seu si rivela ottima sede anche per i catalani Evo, la cui proposta di musica medievale e trobadorica, ampiamente rielaborata - seppur con ambizioni di “fedeltà”, almeno nelle atmosfere - e sontuosamente orchestrata per strumenti antichi ricostruiti appare di grande valore (anche se, alla lunga, non proprio frizzante). Di grande interesse, oltre al raffinato intreccio fra le corde (viole da gamba, salteri, liuti), le percussioni e la voce androgina di Iván Lopez è il carattere “mediterraneo” del sound, che mostra affinità, tanto negli strumenti quanto in certe soluzioni armoniche, sia con la musica “colta” occidentale che con le tradizioni nordafricane e levantine.

Non catalano ma perfettamente inserita nel contesto manresano è la scoperta più interessante di questa Fira, una sorta di controparte “contemporaneista” degli Evo: i Mazal, duo francese che propone trasfigurazioni dance di brani della tradizione medievale sefardita (Axerico en Selanik il titolo dell’ottimo album uscito per la Tzadik di John Zorn). I suoni prediletti da Thomas Baudriller (metà maschile del duo, completato dalla bella voce di Emmanuelle Rouvray) sono quelli del Big beat inglese, o del post-rave, fra Prodigy e Chemical Brothers e relativi emuli odierni: irresistibile miscela adrenalinica che, pur tamarra, evita ogni caduta nel kitsch (sempre in agguato in progetti del genere).



L“apertura” culturale di cui si diceva, ben espressa dalla Fira, è connaturata alla musica catalana anche nei suoi progetti più potenzialmente ostici e “chiusi”. Non è comunque una sorpresa: basta pensare alla rumba, genere “meticcio” (orrida parola) per eccellenza, che Manresa ha celebrato con una serata di alti e bassi con, fra gli altri Achili Funk Sound System (poco interessante la loro proposta venata di elettronica danzereccia) e Canteca de Macao. E anche la serata dedicata al bal folk catalano ha mostrato come qui possa passare per folk tanto la proposta “tradizionale” di El Pont d’Arcalìs – gruppo emblematico del revival catalano, impegnato in un set appositamente pensato per il ballo – e La Carrau, ensemble che festeggia un quindicennio fra riproposta e rilettura delle radici.

Già, le “radici”: la parola chiave di Manresa, a partire dall’intestazione della Fira, “Factoria d’arrel”. È difficile capire – almeno per un italiano – come si sposino così armonicamente localismo e globalismo, tradizione e innovazione. O come l’internazionalismo culturale conviva con le rivendicazioni di indipendenza che, negli ultimi tempi, sono qualcosa di più di un vago proposito o di una battaglia di bruti xenofobi, come in altri casi a noi ben noti. A Manresa i palazzi sono tutti addobbati con la bandiera catalana a strisce gialle e rosse, o con la estelada, simbolo dell’indipendenza catalana, che aggiunge una stella bianca in campo blu sul modello della bandiera cubana; e l’indipendenza è una causa anche, se non soprattutto, dei socialisti.

Il caso catalano è davvero da tenere d’occhio in un’Europa in crisi, e in una Spagna ancora più in crisi. Le rivendicazioni di indipendenza culturale si stanno pericolosamente sommando ad istanze di indipendenza economica. La Catalogna produce più delle altre regioni, e si sente depredata. «Non è solidarietà regionale – mi spiega un giovane militante della coalizione di sinistra Solidaritat Catalana – e non è come in Italia: qui lo squilibrio è troppo alto». E questo, nella meraviglia della cultura catalana, suona purtroppo già sentito anche da noi italiani, per altre e meno degne istanze nazionaliste.

A margine, una menzione speciale per una delle non moltissime presenze italiane: la Compagnia Nando e Maila, che a Manresa presenta lo spettacolo Sconcerto d’amore, al suo terzo anno di vita, e che cerca ora una strada all’estero. Sketch e varietà su canzoni evergreen internazionali (comprese apprezzabili cadute negli Inferi del pop italiano anni Ottanta, quello che vendeva all’estero) condotti dai due attori-musicisti-acrobati con strumenti di ogni tipo, raramente impiegati in maniera ortodossa; la struttura stessa del palco, un enorme trapezio di alluminio su cui Maila fa le sue acrobazie, “contiene” un contrabbasso, un violoncello, una specie di arpa, delle campane tubolari… Con una nota di merito in più: in spettacoli di questo genere, basati sull’interazione con il pubblico, con i bambini, e sulle arti circensi, non sempre il coefficiente musicale è all’altezza. Qui lo è: i due suonano tutti gli strumenti, e nella maggior parte dei casi molto bene. Difficile non divertirsi di cuore.

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