Il conservatorio alternativo

Il pop nei conservatori italiani visto dalla giuria del Premio delle Arti

Recensione
pop
Maledetto X Factor che condizioni ogni giuria di concorso musicale.
Sarà chiaro a tutti che quel modo di valutare la musica, di parlare di musica, ha molto poco a che fare con l’esercizio della critica. È un mondo in cui le canzoni «arrivano» o «non arrivano», si «sentono dentro», «muovono qualcosa». Un tipo di retorica ha a che fare più con la diagnosi di una qualche affezione dell’organismo umano, una patologia, un virus o un parassita, che non con la descrizione di una forma d’arte, di un qualcosa che fa parte della nostra cultura.

L’occasione per pensarci è il Premio delle Arti, concorso voluto dal MIUR, alla sua nona edizione. Sezione: “Musiche pop e rock originali: gruppi, solisti e voci”. Sede: il Conservatorio “Ghedini” di Cuneo, uno dei primi conservatori italiani ad aprire alla popular music sull’onda del jazz (meglio tardi che mai). Il concorso è riservato agli iscritti al conservatorio che siano anche autori di “canzoni pop e rock”. La giuria, oltre che da me, è composta da Carlo Marrale – già principale autore delle musiche dei Matia Bazar – e Marti Jane Robertson, fonica americana trapiantata in Italia che ha messo le mani su molta molta musica italiana (qui per farvi un’idea, se vi venisse la curiosità).

Dopo aver scelto i sei finalisti nei giorni scorsi, li ascoltiamo live a Cuneo. Il primo giorno dobbiamo "solo" selezionare una delle due canzoni che presentano; poi ci sarà la finale, in un evento al Teatro Toselli. Nel mezzo, un po' di incontri, una masterclass/chiacchierata sulla promozione musicale, qualche ottimo pasto, molte discussioni sulla musica.
Il nostro problema come giuria è che non si può barare nascondendosi dietro qualche "fattore x": il che si tramuta in un grande esercizio critico, e linguistico tout court. Provate a casa se non lo fate per lavoro: «Questa canzone mi piace perché» / «Non mi piace perché».
Il tutto è complicato dal fatto i brani che giudichiamo non sono standard e non sono repertorio. Sono originali, e sono pure molto diversi fra loro. C'è la brava cantautrice Maria Messina - piano, voce e loopstation a fare la ritmica - con una canzone in inglese. C'è il pop cameristico un po' melò, con un bell'arrangiamento per archi, fiati e pianoforte, di Esther Frassica - fra Tori Amos e Joanna Newsom (vincerà il premio del pubblico in finale). C'è il rock "radiofonico" di Francesco Bordino, con un bel sound e un bel tiro dal vivo, e con canzoni ben confezionate (vincerà il Premio delle Arti, il migliore per la giuria). E poi ci sono i Fuxs, 2d2 e Veronica Di Lillo, quasi tutti (esclusi i Fuxs) "prodotti" del Conservatorio di Cuneo.





Si finisce così, in giuria, per discutere di cosa faccia «bella» una canzone: il padroneggiare la struttura, saper togliere più che mettere, la capacità di "incastrare" le parti arrangiando, l'originalità... Una retorica che ha più a che fare con l'artigianato che non con le citate "affezioni" della critica X Factor.
È un bene, credo: i conservatori stanno, volenti o nolenti, proponendo un modello alternativo a quello dei talent show, fondato sul lavoro e lo studio a lungo termine e non sulla soddisfazione istantantanea (e, magari, su di una altrettanto rapida disaffezione alla musica). La passerella finale al Teatro Toselli, con i finalisti e gli allievi del Conservatorio - e con l'omaggio a Lucio Dalla della loro "maestra" Rossana Casale - mostra che la qualità di insegnanti e studenti è davvero alt(r)a, e che Cuneo si propone ormai come uno dei poli principali in Italia per questo tipo di formazione. C'è molto da crescere, ma - si spera - c'è spazio e tempo per farlo.



Con una critica costruttiva, in chiusura: il repertorio. Nulla contro le "cover" ascoltate nel gran finale in teatro, ma un modello "alternativo" dovrebbe applicarsi a delle cover altre dal solito mainstream internazionale, dagli U2 ai Queen. Se si deve essere alternativi, bisogna avere il coraggio di esserlo fino in fondo.

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