Non solo filosofia

Al Festival di Modena

Recensione
classica
Di tanto in tanto sento il bisogno di sciacquarmi la mente con qualche spruzzata di idee fresche: allora sfoglio uno dei libri sistemati nella mia parete di Billy (Ikea forever…) e mai aperti, ascolto uno dei cd ancora incellophanati sparsi per casa, o gironzolo sul web tra blog e post. Oppure ammazzo la pigrizia ed esco di casa, cosa successa sabato scorso quando sono andato a passeggiare tra i palchi, gli stand e la gente sparpagliata per le vie di Modena per il festivalfilosofia (così è scritto su locandine, brochure, borsine e magliette, tutte rosse). Annusando l’aria fresca di una bella giornata di sole, ho passato in rassegna il programma della tre giorni (14, 15 e 16 settembre tra Modena, Carpi e Sassuolo) di un festival che, arrivando alla sua dodicesima edizione in discreta salute (secondo le prime stime le presenze superano le 176 mila dello scorso anno), dimostra in qualche modo che la cultura – se trattata come si deve e nonostante crisi e terremoto – “tira” ancora. Cercando odore di musica ho scoperto tante “cose” interessanti: il tema di quest’anno è, appunto, sulle cose. Tra queste, per una personale associazione d’idee tra filosofia e musica, volevo scovare qualcosa che ricordasse John Cage, considerando che quest’anno si celebra il centenario della nascita. Ecco cos’ho trovato: l’Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna “Toscanini” protagonista di “Facciamola a pezzi”, dove musiche di vari autori – da Bach a De André, e in mezzo, appunto, “Melody” di Cage – vengono scomposte di fronte agli ascoltatori dalla sensibile bacchetta-bisturi di Alessandro Nidi, con il commento di Roberto Recchia; il duo Biogroove (Antonino Errera - Vito Amato) che utilizza percussioni e materiali di diversa origine; “Sound Objects”, mostra a cura della mente infaticabile di Claudio Chianura che, ospitata a Palazzo Santa Margherita fino al 23/09, espone sia strumenti tecnologici come il Tenori-on, sia strumenti artigianali come alcuni carillon. Poi, dimenticando il fungaiolo americano, mi sono seduto in mezzo a tanti altri di fronte al palco sul quale Mariagrazia Portera stava presentando Fabrizio Desideri, docente di Estetica presso l’Università di Firenze: titolo della lezione che andava a cominciare era “L’opera d’arte nell’era della riproducibilità tecnica”. Ottimo, un bel ripassino del classico benjanimiano è quello che ci vuole per noi che ci occupiamo anche di dischi, video, mp3, insomma di musica riprodotta. Desideri parte da quattro domande, una delle quali – la terza – tira in ballo la “nuova musica”. Quindi, dopo aver affrontato, in generale, la singolarità di questo classico e i caratteri delle quattro versioni del saggio di Benjamin, mi aspettavo che la “nuova musica” fosse quella di Adorno (considerata anche la vicinanza tra Walter e Gretel). Invece il professore fiorentino se ne esce con una frase tipo: “potremmo definire Walter Benjamin il Miles Davis della filosofia del Novecento” perché, in sostanza, come il trombettista ha sparigliato i codici del linguaggio musicale abbandonando il “tema” per il “modo” alla ricerca di una “musica che ancora non c’è”, così l’autore tedesco si è spinto a cercare un nuovo “modo” di fare filosofia. Poi Theodor Wiesengrund arriva e Desideri ricorda il suo accostamento del pensiero benjaminiano alla seconda scuola di Vienna (e mi pareva, con quello che pensava Adorno del jazz…) quale filosofia alternativa al mainstream allora imperante. Da qui si procede abbandonando la musica per il cinema – vero linguaggio artistico di riferimento per Benjamin – arrivando alle interpretazioni delle tesi racchiuse in questo saggio, comprese le implicazioni socio-culturali e politiche del messaggio benjaminiano. Non essendo un filosofo patentato mi fermo qui, evitando il ridicolo di ulteriori azzardi ermeneutici. Lasciando la mia sedia di plastica mentre il pubblico fa ancora domande – e considerando che il tema dell’edizione 2013 del festivalfilosofia sarà “amare” – penso che una cosa da questa passeggiata mi rimarrà sicuramente: quanto sento quel bisogno di idee fresche, nel dubbio se mi stacco dal divano ed esco di casa non sbaglio di certo.

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

I poco noti mottetti e i semisconosciuti versetti diretti da Flavio Colusso a Sant’Apollinare, dove Carissimi fu maestro di cappella per quasi mezzo secolo

classica

Piace l’allestimento di McVicar, ottimo il mezzosoprano Lea Desandre

classica

Napoli: il tenore da Cavalli a Provenzale