Eno sabaudo

Alla Reggia di Venaria la sonorizzazione di Brian Eno per la Galleria Grande

Recensione
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È Brian Eno il pezzo forte della settimana di creatività assortite di HOP.E, alla Venaria Reale (fra gli altri eventi, le serate curate da Xplosiva: si è cominciato con la crew di SRSLY, realtà fra le più vivaci a Torino, con Material e Vaghe Stelle; nelle prossime settimane Mohko, Francesco Tristano e Byetone).

Eno è una “rockstar” ma – come si addice agli spazi che la ospitano – è intimamente sabaudo; arriva su una sobria Fiat Panda, e sobriamente racconta quarant’anni di un’avventura musicale fra le più ricche e decisive della popular music internazionale. Il punto di arrivo di tale percorso è – almeno, nelle strategie narrative del fine parlatore Eno – la sonorizzazione Music for the Great Gallery, concepita per la sontuosa Galleria Grande della Reggia. Eno ha spiegato così – partendo dalla sua scoperta di In C di Terry Riley e It’s Gonna Rain di Steve Reich – la sua concezione di musica, il suo metodo di lavoro, la sua filosofia dell’arte. Un percorso fra cibernetica, genetica, automazione cellulare, fra i maggiori studi e le più nuove tecnologie, che curiosamente scorre attraverso schemi e partiture grafiche rigorosamente scritte e colorate a mano.
Ha raccontato, Eno, di essere arrivato alla Venaria a maggio con un pezzo di musica già pronto, ma composto al buio, di notte, nel suo studio di Notting Hill e quindi totalmente inadatto agli spazi e alla luce della galleria («I plugged it in. I listen to it. It was shit, ha chiosato). E di aver riscritto un secondo pezzo direttamente nella galleria («Not quite shit, but quite close to shit»), e un terzo ancora: quello che ascoltiamo oggi, ancora in fase di limatura. «Alla fine della giornata di lavoro avevo capito quale fosse la densità musicale adatta». Il brano odierno parte da una “scultura del modo musicale”, come la definisce l’autore. Eno ha impiegato per ognuna delle lunghe sezioni (12, ma 21 in origine) solo cinque note estratte da una scala di sette. Molte sezioni sono nominate secondo un mood stagionale, da “Late Autumn” a “Deep Winter”: «Meglio di Vivaldi, che ne ha fatte solo quattro!». Siamo dalle parti, a voler essere cattivi, di “Bloom”, la app di musica generativa sviluppata dallo stesso autore: una suggestiva ambient music. Il risultato, però, funziona e quello che manca alla music ce lo mette tutto l’ambient. E si conferma come il “sabaudismo” di Eno – perfettamente funzionale alla Reggia sabauda - sia anche tecnologico e musicale, in primis: quattro piccole casse soltanto per la Galleria Grande. Per una musica discreta un audio anche troppo discreto, che non costringe – fra l’eco dei passi – il pubblico all’ascolto. «Volevo una musica che fermasse il tempo – ha spiegato il musicista – che dicesse alle persone: “Smetti di essere quello che sei”. O forse solo “smetti di parlare!”». Un altro passo in una ricerca lunga decenni e volta a «turn the sound down», a “silenziare” il mondo più che a sonorizzarlo.

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