Maestri nel pomeriggio | Bergamo Jazz 2

Tim Berne, ma anche Ambrose Akinmusire per il secondo giorno della rassegna

Recensione
jazz
Con grande puntualità Bergamo si adegua alla primavera e offre una giornata calda e radiosa al proprio Festival Jazz. Si discute ancora di Jason Moran bevendo un caffè, ma si respira anche una crescente attesa per il concerto pomeridiano di Tim Berne.
Già, pomeridiano. Il fatto che un artista che è tra i più originali e rappresentativi del jazz contemporaneo come Berne venga programmato alle diciassette la dice piuttosto lunga sulle logiche che animano un grande festival. Sulla carta non c'è molto da rimproverare a Rava, che ha allestito un cartellone vario e stimolante, ma Berne all'ora del tè resta un'occasione perduta per dare a una parte del pubblico "generalista" del Donizetti una musica coraggiosa e fuori dai luoghi comuni. Alla testa del quartetto Snakeoil, il sassofonista di Syracuse ha condotto un set entusiasmante, in cui alcuni temi presenti nel recente disco Ecm sono potuti esplodere in tutta la loro devastante originalità espressiva, fatta di elaborate costruzioni e assecondata da una band molto affiatata in cui si sono messi in luce sia il clarinettista Oscar Noriega (splendido "specchio" deformante di Berne) che il percussionista Ches Smith, capace di lievi tocchi al vibrafono come di esplosioni punk sui tamburi. Un concerto molto intenso, di quelli da vivere lasciandosi completamente andare e chiudendo gli occhi, anche perché il tecnico luci non ha di meglio da fare che giochicchiare con i fari motorizzati e spalmare su pareti e fondale del palco stelle, ghirigori e palmizi più adatti a una sagra paesana che a un concerto di jazz di questo livello.

Il rimpianto per non avere osato mettere Berne in "prime time" diventa piuttosto lancinante poche ore dopo al Teatro Donizetti: presentato da Rava con entusiasmo un po' incauto, il giovane trombettista Ambrose Akinmusire è stato protagonista di un concerto abbastanza noioso, condotto sul crinale di un hard-bop sofisticato, ma piuttosto schematico e appiattito dalla scarsa originalità di alcuni compagni di avventura. Tecnicamente eccellente, Akinmusire mi è sembrato non poter (o non volere) tradurre l'acidula inquietudine del proprio strumento in un discorso capace di aprire nuovi mondi, preferendo o rimirarsi in qualche ballad non memorabile, o mostrare i muscoli nei brani più dinamici. Cose che al jazz club con una birra davanti ti diverti pure, ma che nel buio di un teatro diventano rapidamente tedio.

Il pubblico però applaude convinto e applaude convinto anche la cantante Buika - agli onori della stampa nazionale in mattinata - che chiude la serata con il suo jazz/flamenco/latin/pop. La voce dell'artista spagnola (di origine guineana e utilizzata anche da Almodovar in un film si affrettano sempre a precisare, quasi fosse un expertise che non ammette replica) è particolare e funziona, ma la formula complessiva - con Horacio El Negro Hernandez a guidare le danze da dietro la batteria - cade presto in un miscuglio fusion-tamarroide che in un "mercato" libero davvero dovrebbe stare in altre arene con libertà di ballo.

Tutto va troppo per le lunghe, tra l'altro, specie in una nottata che si mangerà via un'altra ora per spostamenti di lancette... e la testa va già all'intenso programma dell'indomani.

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