TFF 2 | La mia banda suonava il rock

I più grandi di tutti di Carlo Virzì è divertente commedia rock alla livornese

Recensione
pop
Di film sulle band che tornano insieme, sui sogni di rock’n’roll infranti, sull’eterno dilemma fra essere ribelli o square ne sono stati fatti diversi. E, chissà perché, sono quasi tutti dei piccoli o grandi cult: da The Blues Brothers a The Commitments a School of Rock, Almost Famous fino al meno noto – ma in qualche modo riassuntivo - Still Crazy. I più grandi di tutti di Carlo Virzì (fratello di Paolo, sceneggiatore, autore di colonne sonore e già leader dei “mitici” Snaporaz alla fine degli anni Novanta) parte da qui: nei primi Novanta, i Pluto da Rosignano Solvay sono una band di medio successo, un po’ Litfiba un po’ Skiantos (“Sputo in faccia al bagnino / e gli rubo il pattino” o “Io mi faccio i cazzi miei” sono alcuni dei loro versi chiave). Grotteschi e – molto a modo loro – “maledetti”, si sciolgono per ritrovarsi quindici anni dopo: una nota rivista musicale vuole confezionare uno special sulla loro storia (non sveliamo altro, ma la trama è davvero quasi tutta qui).
Il film non si fa mancare un cliché. C’è Loris, il batterista sfigato e timido (l’ottimo Alessandro Roja), che usa il furgoncino della band per fare piccoli traslochi e che non riesce a farsi rispettare dal figlio (ma - indovinate: ce la farà, grazie al ROCK!). C’è Mao, il cantante narciso e spiantato, mai cresciuto (Marco Cocci, cantante dei Malfunk, già in Ovosodo) che stava con la bassista Sabrina (Claudia Pandolfi - la donna del gruppo che altro poteva suonare?) nevrotica e ora prossima al matrimonio (…Sì, tornano insieme). E c’è il chitarrista Rino, arrabbiato con il mondo e con gli ex compagni (Dario Cappanera, vero chitarrista nella vita), ora finito a lavorare in fabbrica con un contratto indeterminato» («Che culo» commenta Loris, eterno precario).

Eppure, il film è delizioso e divertente, e si fa perdonare ingenuità e banalizzazioni: Virzì, nell’ammettere le molte ispirazioni (che sono anche citazioni esplicite: «Sono in missione per conto di Dio» bofonchia il batterista Loris nel mezzo della festa di fidanzamento di Sabrina) ha detto di aver sempre cercato un film italiano su un gruppo italiano: «In giro non ne ho visti. Quindi, ho deciso di farlo io». In realtà, viene in mente – almeno – il bel personaggio di indie-rocker fallito portato sullo schermo da Valerio Mastandrea in Non pensarci di Gianni Zanasi (2007). Il punto di forza del film comunque sta esattamente nel suo essere italiano: i cliché del genere sono ricollocati nel contesto della provincia toscana, e alcuni momenti – proprio per questo – risultano esilaranti (ad esempio, quando Loris prova a spiegare cosa sia il “rock” al figlio).
Questa livornesità, nel dialetto e nelle situazioni, è in realtà un background più che credibile per la vicenda, nonostante sia sfruttata comicamente, e sia essa stessa ridotta a cliché. Il rock italiano in questi ambienti provinciali – più che in quelli urbani – ha spesso trovato il suo terreno di nascita privilegiato.

(menzione speciale per Frankie Hi-Nrg, nel ruolo dell’assistente del giovane giornalista incaricato di realizzare il servizio)

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