It don’t mean a thing if it ain’t got that Swiss!

Il jazz svizzero e il futuro

Recensione
jazz
Tempi di grande fermento per il jazz svizzero! La storica etichetta Intakt ha raggiunto il disco numero 200 (che testimonia lo storico solo di Irène Schweizer alla Tonhalle di Zurigo, di fronte a duemila persone!), il festival unerhört! è arrivato al decennale – celebrato con una bella pubblicazione e aperto da un simposio internazionale sul futuro del jazz cui ho avuto l’onore di partecipare – e un consistente manipolo di musicisti elvetici che gira intorno alla Intakt è pronto a sbarcare a New York per quindici giorni intensissimi allo Stone nella prima metà di marzo.
La breve visita a Lucerna e Zurigo mi ha consentito di verificare personalmente non solo l’alto livello musicale della scena svizzera – ormai ben noto nel panorama internazionale – ma anche di avere l’ennesima conferma di quanto importante sia avere delle buone politiche di supporto per gli artisti e per l’educazione.
La Hochschule di Lucerna, prima di tutto, splendida struttura nella città vecchia, con insegnanti di grande valore, dal contrabbassista Haemi Hammerli al chitarrista Christy Doran, passando per il batterista americano Gerry Hemingway, che ormai da tre anni vive e insegna nella cittadina svizzera. Ma anche piccoli locali periferici come il Mullbau, sempre a Lucerna, non più di una stanza con poche decine di sedie, ma con una programmazione di altissimo valore e la capacità di dimensionare al meglio il delicato rapporto tra ascoltatori e musicisti. In questo piccolo spazio si sono esibiti il trombettista Russ Johnson (vero e proprio musician’s musician, davvero sottovalutato) e la sassofonista svizzera Co Streiff, in un quartetto davvero convincente, anche grazie al contributo degli strepitosi Christian Weber e Julian Sartorius a basso e batteria. Una felicissima sorpresa.
Grandi feste poi a Zurigo per l’avvio della decima edizione del festival unerhört!, aperto da un rarefatto solo ai piatti del percussionista Christian Wolfarth e dalla istrionica, indomabile, esibizione delle ormai storiche Diaboliques, Irène Schweizer al piano, Maggie Nichols alla voce e Joelle Leandre al contrabbasso. Un successone il loro concerto, nel delizioso Theater Neumarkt, anche se l’età media del folto pubblico (di cui chi scrive, quarantenne, era probabilmente tra i più giovani…) è sembrata un segnale poco confortante per quel "futuro" del jazz su cui già il simposio aveva sollevato molte domande scomode.
Grande supporto da parte delle istituzioni, una grande vivacità che si nutre delle sempre più frequenti collaborazioni con musicisti di altre nazioni (nelle serate allo Stone ci saranno Fred Frith, Elliott Sharp, Oliver Lake, Tim Berne e altri), dalla piccola Svizzera arrivano segnali importanti per il jazz internazionale, un jazz cui la globalizzazione ha consentito il formarsi di piccoli e efficaci network in ogni angolo del pianeta. It don’t mean a thing if it ain’t got that Swiss!

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