L'elefante nella cristalleria

Il Premio Tenco 2011, grande edizione con (o nonostante?) Ligabue

Recensione
pop
Luciano Ligabue, Premio Tenco 2011 – prima di lui l’hanno ricevuto Paoli, De André, Amodei, Guccini e fra gli stranieri Tom Waits, Leo Ferré, Brassens, per citarne a caso – ha definito il festival sanremese “la cristalleria della canzone italiana”. Bellissima definizione, che chi conosce e ama il Tenco apprezzerà per il suo alludere a qualcosa di fragile e prezioso, e insieme un po’ demodé. Ligabue, nella serata conclusiva dell’edizione 2011 - “straordinaria” perché a budget ridotto e messa insieme in extremis con tagli significativi - ha recitato il ruolo dell’elefante.
Il suo arrivo a Sanremo ha fatto storcere il naso a non pochi degli addetti ai lavori e dei “duri e puri” custodi della tradizione tenchiana. Non perché il Liga sia un alieno al Tenco: ha già vinto premi, nella prima (e valida) parte della sua carriera, ma perché le cose che fa oggi paiono molto lontane dallo spirito della Rassegna. Al Tenco, poi, si diffida del successo di massa, quel continuo compromesso fra gusto nazionalpopolare e artisticità possibile su cui si sono fondate le carriere di molti cantautori italiani storici. Ma questo avveniva già ai tempi del Primo Congresso della Nuova Canzone, Premio Tenco 1975, e ancora prima; dunque, nessuna novità in tal senso.
La presenza di Ligabue in sé, insomma, non è assolutamente scandalosa; disturba che sia stato premiato, ma soprattutto perché disturba – in un anno di crisi – che il Tenco abbia provato a salvarsi così. Perché, purtroppo, il messaggio che è passato, tra le righe, è stato questo: per il tempo tiranno, per il borsellino ancor più tiranno, si premia qualcuno che porti a casa la serata indipendentemente dai suoi meriti artistici (su cui potremmo restare a discutere per giorni). Obiettivo peraltro riuscito, che ha catalizzato l’attenzione dei maggiori media su Ligabue al Tenco (un bene? Un male?) e che ha regalato il tutto esaurito sabato sera, grazie ad un pubblico di giovani urlanti.

Che si parli soprattutto di Ligabue è un peccato perché il rocker di Correggio ha chiuso – malissimo, con un set debole, interventi fuori luogo e cadute nel kitsch (la pessima “Quando mi vieni a prendere”, dedicata all’assassinio di alcuni bambini) – una delle più belle serate del Tenco recente. Che a sua volta ha concluso una programmazione che, scartando anche per mancanza di soldi le soluzioni più scontate, si è rivelata essere una delle più coraggiose degli ultimi anni, con un cast “rubato” alla scena indipendente che comprendeva alcune delle cose migliori della storia recente della canzone d’autore: Mariposa (orfani purtroppo di Alessandro Fiori), Iosonouncane, Cesare Basile, Marco Parente… Nella serata finale, aperta dall’esordiente Giorgia Del Mese (interessante personalità, che deve ancora limare la parte musicale) hanno brillato i Nobraino, quintetto autore di una canzone energica e un po’ surrealista. Ma di livello assoluto è stata anche la performance di Paolo Benvegnù: il suo Hermann (in scaletta la sequenza iniziale del disco) rende ancora meglio dal vivo. Così come, sul versante più “manierista” della canzone d’autore, quello che ama rifarsi alla lezione dei grandi maestri, la Piccola Bottega Baltazar si è confermata fra le proposte più originali, per la sua grande consapevolezza (che non è mai imitazione di stilemi) e un certo sguardo obliquo, postmoderno quasi, sul proprio ruolo di “nipotini” di De André (diverte, in particolare, la loro versione veneta di “Marinette” di Brassens).

La seconda parte della serata è stata dedicata invece ai premi: oltre al citato elefante, Mauro Pagani (premio all’operatore culturale) e il ceco Jaromír Nohavica (Premio Tenco al cantautore). Pagani ha proposto un set retrospettivo sulla sua multiforme carriera: a partire da “Impressioni di settembre” fino a “Creuza de Mä” e alla seminale “Europa Minor”, dal suo album solista del 1978. Di classe l’omaggio “frescone agli amici fresconi”, recentemente scomparsi, Pepi Morgia e Piero Milesi: la scanzonata “Ottocento”, da Le nuvole di Fabrizio De André.
Jaromír Nohavica, oggetto misterioso per il 99% dei presenti e “scoperto” per l’Italia da Alessio Lega (anche sul palco con una traduzione e un duetto) è chansonnier di livello europeo, e lo dimostra subito. Confermando ancora una volta come i suoi risultati migliori il Club Tenco li ottenga quando propone incognite, non quando conferma certezze (soprattutto quando sono certezze decisamente appannate). E questo vale anche per la capacità di saper pescare da circuiti ed etichette diversi da quelli più vicini al Club stesso, non adagiandosi sui soliti noti e rischiando qualcosa, come è stato fatto quest'anno. Se la rassegna della canzone d'autore vuole restare essa stessa "d'autore" nelle sue scelte, rinnovi e spolveri la sua cristalleria. Scuoterla anche fa senz'altro bene, ma con gli elefanti conviene fare attenzione.

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