La musica nello spazio

Club to Club apre al Teatro Carignano con Apparat

Recensione
pop
È il terzo anno che Club to Club – dalla fine di Dissonanze a tutti gli effetti il primo festival italiano di elettronica, il nostro piccolo Sonàr – festeggia l’apertura fra i velluti del Carignano. E se due anni fa l’ingresso a teatro era parso il punto di arrivo di un lento riconoscimento culturale, ora la serata del Carignano è un classicone della Torino elettronica e indie, l’imperdibile momento hip, dove bisogna farsi vedere, prima di perdersi nelle lunghe notti dell’Italian New Wave.
Ci sono motivi per rallegrarsi. Per prima cosa – sarà l’affinarsi delle scelte artistiche o del mio orecchio? O pura contingenza? – l’interazione fra musica e spazio migliora di anno in anno: non tutte le musiche “funzionano” in un teatro barocco, e passata la giusta gioia per la conquista del tempio, il rischio di fare della serata del Carignano un momento mondano e poco più era reale. La techno del trio Carl Craig – Moritz von Oswald e Francesco Tristano (Club to Club 2009) e i Plaid nel loro progett gamelan (2010) avevano occupato lo spazio con una musica fredda, logica, che reagiva in uno strano contrasto con il calore dorato dell’ambiente.
Per questo, Apparat (in versione band) è l’uomo giusto nel posto giusto. La traiettoria del musicista berlinese lo ha portato dal successo come musicista elettronico di culto a una strana forma di indie rock malinconico, dagli strumenti digitali a quelli analogici, dal laptop alla chitarra elettrica, che fino a poco tempo fa neanche sapeva suonare e che oggi tratta con poche idee ma precississime. La sua musica sembra aver raggiunto, partendo dal punto opposto, quella dei conterranei Notwist: sarà per il mélange electro-acustico, per la pronuncia delle consonanti inglese-berlinese, per la serena malinconia che trasmettono le canzoni, per le improvvise aperture epiche “kraut Sigur Rós”. Quello che conta, è che si impossessa dello spazio e del pubblico senza esitazioni. Il repertorio si basa sull'ultimo uscito The Devil's Walk, con rare incursioni nei lavori precedenti e in atmosfere più dance (come nel bis finale). Menzione anche per l’italiano (ma ora di base Berlino) Lucy, cui è affidato il non facile warm up nel teatro già pienissimo: i suoi paesaggi sonori avvolgenti, fra dub, voci registrate e suggestioni di IDM, rapiscono e affascinano. Chi ha la fortuna di aver un palchetto in cui sedere e un pezzo di velluto a cui appoggiarsi, non potrebbe chiedere molto di più (questa volta, anche quello smodato desiderio di mojito che prende ai festival elettronici pare inappropriato).

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