Il favoloso mondo di Ramzi

La Palestina diafana dell'ensemble Dal'Ouna

Recensione
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Al di fuori dei suoi stream principali, delle sue venue maggiori, il programma di MITO si frammenta in particole di difficile ricomposizione critica. Così, fra siriano coatto e l’inizio della settimana haitiana compare, sul palco dell’Espace di Torino, un palestinese dal grande understatement, tanto lui quanto la sua musica.
Ramzi Aburedwan ha fondato undici anni fa l’ensembe Dal’Ouna, in Francia, dove si è trovato a studiare grazie ad una borsa di studio, riuscendo a lasciarsi alle spalle l’infanzia in un campo profughi a Ramallah. Impegnato nel sociale, ha fondato un’associazione (Al Kamandjati) con cui segue più di 450 allievi nei campi profughi dei territori palestinesi e del Libano. Un bel personaggio, un ottimo musicista e una bella storia “salvata” dalla musica. Le sue composizioni, eseguite da organico ibrido con il leader al bouzouki, e poi oud, fisarmonica, contrabbasso e tamburi a cornice, sono in realtà un métissage mediterraneo raffinato, una koiné medio-orientale che talora – nella strumentazione, nei ritmi dispari, nella scelta timbrica – ricorda più la Grecia che non l’area levantina. La raffinatezza del tutto, però, è figlia di un pensiero musicale occidentale, fra momenti impressionistici e sezioni più ipnotiche costruite sul groove del contrabbasso, che guadagna in complessità quello che perde in "tiro". Una Palestina un po’ diafana, evocata nei titoli e negli aneddoti dietro i pezzi (come quello del giovanissimo cantante, Oday Al Khatib, conosciuto per strada e strappato da un campo profughi dieci anni fa: “ooooooh” esclama il compito pubblico di MITO), in cui anche le pietre che volano contro i soldati hanno il nitore hi-fi degli strumenti acustici, più Amélie che intifada.

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