Pablo Milanés, amore e delusione

A Latinoamericando, ricordando concerti migliori

Recensione
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Ricordavo quello di Pablo Milanés a Latinoamericando nel giugno del 2006 come un concerto bellissimo, commovente: piovigginava, Milanés cominciò molto tardi perchè c'erano i Mondiali e si era dovuto lasciar terminare Argentina-Messico. Confesso venerdì scorso di essere andato a Latinoamericando sperando di ritrovare, col ritorno di Milanés in Italia, la magia di quella sera, ma di essere rimasto deluso. Mentre cinque anni fa l'atmosfera era raccolta, intima, questa volta ad accompagnare Milanés c'erano due tastieristi, uno dei quali in alcuni brani suonava il violino: volume troppo forte, confezione troppo pesante, anche un po' dozzinale, che soffocava la voce di Milanés - e la sua chitarra acustica nel paio di brani in cui l'ha imbracciata - e ammazzava il pathos, persino in una canzone come “Yolanda”, che è pathos allo stato puro. Milanés ha dedicato una sua canzone, non nuova, “Exodo”, «ai cubani che per un motivo o per l'altro non vivono nel loro Paese: vuole essere un omaggio, e un ponte di amore»: lo emoziona la prospettiva di un tour, a breve, negli Stati Uniti, con una data, che si preannuncia storica, a Miami. Non foss'altro che per questo sarebbe stato interessante parlare con lui, ma non c'è stato verso: Milanés, su questo piano tradizionalmente ostico, si è fatto estorcere, molto a fatica, un'unica intervista.
L'altra volta invece aveva accettato di incontrare la stampa prima del concerto, e mi è venuto in mente che avevo condensato il dialogo, ma che il testo mi era poi rimasto nel cassetto: alcune risposte - rileggendolo - mi paiono ancora belle, e lo propongo allora qui, facendolo precedere da un bigino per chi non avesse presente chi è Pablo Milanés.

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