Voglia di profondità

Basta con le scelte facili

Recensione
classica
Altro che Turris Eburnea, la condizione del musicista in Italia è tutt’altro che compatibile con una presa di distanza dal mondo, con una clausura ascetica, o – a piacere – col disinteresse per le regole e le convenzioni del mondo circostante; il late biosas epicureo è impraticabile. Il musicista, oggi, è abituato soprattutto a sentire altro, e a fare i conti con altro. E così i compositori non descrivono più i loro brani spiegandone la struttura o la poetica, ma solo precisando che « l’orchestra è piccola, i fiati sono “a due”, bastano poche prove e un direttore d’ordinanza». I musicisti parlano più che altro di cachet (generalmente ridotti), i direttori artistici di tagli. Costretti, tutti, a ringraziare assessori presenzialisti che, tra una sagra e un taglio di nastro, approdano al concerto di turno e si fiondano sul palco, parlando – ça va sans dire – dell’importanza della cultura (detta anche cültüra), e della musica come meraviglioso messaggio di amore e di universalità. Siamo davvero in pericolo, perchè stiamo perdendo di vista il fine vero, autentico, per cui abbiamo fatto certe scelte radicali nella nostra vita. E stiamo confondendo il mezzo (talvolta mezzuccio) con il fine. Voglio tornare a vivere in un paese in cui la musica sia – per un musicista e chi gli sta intorno (direttori artistici e similia) – la massima preoccupazione. In cui i problemi siano legati all’interpretazione di un passaggio, all’approfondimento di un pensiero, alla scoperta di nuove composizioni. Capisco, perchè lo vivo in prima persona, che è necessario che si creino le condizioni (economiche, politiche, sociali) perché ciò accada, ma mi dico anche che non se ne può più di questa strisciante mediocrità, e anche della preoccupazione di legittimarci in virtù della quantità di persone che ci ascoltano. È un’eresia: la musica è importante per se, dovremmo tornare a occuparci di chi la ama già (pochi o molti che siano) piuttosto che scorazzare per cortili a caccia di nuovi pubblici. Cosa nobilissima, per carità (non scorazzare, ma cercare nuovi interlocutori) a patto che non comporti una sistematica volgarizzazione dell’offerta. Voglio ascoltare Asyla di Adés, Trans di Stockhausen, Diplipito di Kancheli, magari al fresco di una turris eburnea, e non me ne frega niente se sono scelte bollate come radical chic, snob, poco rispettose del gusto corrente. Il pubblico è importante, e – ahimè – in questo momento anche gli assessori. Ma se non torneremo a considerare che la Musica lo è di più, molto di più, fra un po’ a questo pubblico non avremo più nulla di decente da offrire.

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