Zappa non vuole morire

Universal ha trovato un accordo con lo Zappa Family Trust per ripubblicare su cd - e per la prima volta in digitale - l'intero catalogo zappiano

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Frasi celebri: nel 1921 Edgar Varèse scrisse «The present-day composers refuse to die». Nel 1966 Frank Zappa, sulla logorroica copertina del suo primo album, Freak Out!, scriveva «The present day composer refuses to die», rendendo omaggio a quello che avrebbe voluto fosse il suo maestro di composizione, ma che per fortuna non lo fu, così come fortunatamente né Ravel né Stravinskij lo furono di Gershwin. Uno spostamento della lettera "s", forse involontario ma decisivo, cambiava il senso delle due frasi. Varèse pensava ai present day composers come a una categoria da tutelare sindacalmente. Zappa girando la frase al singolare, non parlava di sé, bensì del "compositore di oggi" visto come figura in via di estinzione. A partire da Freak Out!, che iniziava a doowop e finiva a Stravinskij, Zappa tracciò una "via d'uscita" tutta sua e solo sua: prendere a calci nel sedere la musica sperimentale e la sua forma mentis e sbatterle in mezzo alla strada, a insozzarsi mani e piedi, a raccontare il mondo vero, brulicante e abietto, a farsi il mazzo fra tossici, prostitute, poliziotti e politici corrotti, catholic girls e casalinghe sessualmente malmesse. Altro che aule universitarie, corsi estivi per happy few, ovvero santuari asettici al riparo dal rumore del mondo dove progettare chissà quale futuro dell'arte.

Dopo la morte di Zappa, nel 1993, quella frase celebre sembra aver subito un'ulteriore slittamento di significato. Non per volontà del compositore, bensì del family trust che ne amministra il lascito, cioè, in primis Gail Sloatman in Zappa. Ormai è un destino: dal pop alle avanguardie festivaliere, oggi tutti gli autori tali da interessare il big business devono fare i conti con la macchina postuma del copyright. Postuma e inesorabile.
Così, quella frase the present day composer refuses to die sembra suonare ora in un'accezione assai meno teoretica e assai più ad personam, quasi a suggerire che la vita postuma - Nachleben la chiamava Walter Benjamin - del compositore Frank Zappa verrà garantita tramite accorte strategie, facendo sì che i suoi album continuino a stare sul mercato, rinnovando al momento giusto il loro appeal. In estate si è diffusa la notizia che lo Zappa Family Trust e l'Universal Music Enterprises, vale a dire la major che fra le big four detiene la più ampia quota del mercato, avevano stipulato un accordo per la pubblicazione in formato digitale e in cd dei 60 titoli inclusi nel catalogo Barking Pumpkin, l'ultima etichetta fondata da Zappa nel 1981. Dal 20 agosto scorso tutti gli album sono già disponibili in rete in formato digitale, mentre i cd sono in corso di pubblicazione a un ritmo piuttosto sostenuto. Entro la fine dell'anno, con cadenza mensile, dovrebbero uscire i 60 album in cinque tranches di dodici titoli ciascuno. Già disponibili le prime tre serie: da Freak Out!, il dirompente doppio album che nel 1966 diede il via all'avventura, fino alle prime tre uscite del '84: The Perfect Stranger, Them or Us e Thing-Fish. Fra i cd mancano però due titoli: il solito Mothermania (l'antologico del 1969 mai ripubblicato in cd ma solo in mp3) e, purtroppo, 200 Motels (1971), colonna sonora dell'omonimo film della Metro Goldwyn Mayer.

La musica di Zappa, non proprio tutta ma quasi, sarà dunque finalmente acquistabile in rete, mettendo fine a un'assenza quasi assoluta durata troppo a lungo. Inoltre, nel giro di poco avremo davanti sessanta nuovi fiammanti cd, non solo ufficiali, ma con credenziali da urtext, sia per la veste grafica, sia per la musica, come conferma la stessa Gail dal sito www.zappa.com: «I master digitali saranno tutti ritrasferiti dal vaultmeister, e circa un terzo dei titoli sono stati rimasterizzati dalla matrice analogica originale». Che il responsabile della rimasterizzazione sia Joe Travers, ossia il Vaultmeister, il "maestro d'archivio" dell'immenso deposito sotterraneo accumulato da Zappa nel corso dei decenni, è una premessa rassicurante da un punto di vista squisitamente filologico.

Tuttavia, a uno zappofilo che chiede quale sarà la masterizzazione di Hot Rats utilizzata in questa riedizione, se quella originale del 1969, o quella 1987 del cd, Gail risponde: «Tecnicamente, nessuna delle due: sarà il re-master del 2008 di Bernie Grundman, che assomiglia al mix originale del 1969». Nessuna delle due, dunque una terza, realizzata da una celebrità dell'audio engineering al fine di ripristinare per quanto possibile gli equilibri e le dinamiche del 1969, dopo che i suoni del 1987 (e della riedizione Rykodisc 1995) avevano sconcertato parecchio per quanto si discostavano dall'immagine sonora del vinile. Nessuna delle nuove uscite, precisa Gail, avrà come fonte la precedente edizione Ryko, e con tono rassicurante conclude: «Vedrai, ti piacerà». Non c'è motivo di dubitarne, anche se gli interrogativi per la montagna di nuove rimasterizzazioni in arrivo con questa terza Zappa-Ausgabe, suscitano non solo l'apprensione dei collezionisti (su www.zappa.com l'intera collezione è acquistabile anticipatamente a 877$, non proprio spiccioli), ma pongono agli studiosi questioni più ampie e di varia natura.

In prospettiva il remastering sarà per il XXI secolo un tema cruciale nel campo degli studi musicali ed è prevedibile che le motivazioni, le modalità e la legittimità di interventi postumi sull'opera di un autore da parte dei detentori del copyright, (interventi virtualmente reiterabili pressoché all'infinito, di pari passo con lo sviluppo delle tecnologie audio), andranno ad arricchire l'infinita casistica di quella vexata quaestio intramontabile che è il restauro.

Ma c'è dell'altro. Sono ormai leggendarie, iscritte alla storia recente della libertà di espressione, le battaglie di Frank Zappa contro l'industria discografica e la sua logica del no commercial potential. Bizarre nel 1968, DiscReet 1973, Zappa Records 1977, e infine Barking Pumpkin 1981 sono le case discografiche create da Zappa nel corso di questa sua guerra di indipendenza. Le dichiarazioni di Gail sembrano tradire un certo imbarazzo per questo accordo con l'Universal: «Ci hanno fatto un'offerta che non potevamo rifiutare, per un sacco di buone ragioni»; mentre in rete si legge che sul letto di morte Frank avrebbe chiesto alla moglie di vendere i diritti di tutto il catalogo a una casa discografica affidabile.

Quando Zappa morì, circolò un breve, toccante messaggio della Zappa Family (non ancora trust): «Suonate la sua musica se siete musicisti, altrimenti suonatela lo stesso. A lui basterà questo». Negli anni seguenti, il modo restrittivo col quale si è limitata la circolazione delle partiture e quindi l'esecuzione e anche lo studio della musica di Zappa non è parso interpretare nel modo più fedele quell'esortazione. Anche tenendo conto del doveroso rispetto dell'eroica e giustificatissima avversione di Frank per la routine cialtrona di troppe orchestre e complessi strumentali, il risultato di questa politica è stato spesso controproducente, quasi un rinchiudersi in quella torre d'avorio che Zappa aveva polverizzato con la sua nozione di un'arte spudoratamente vernacolare e insieme sperimentale e rigorosa. Negli anni, magari con il lasciapassare di un'istituzione blasonata, la musica di Zappa è finita fra le mani di orchestre talvolta inadeguate, mentre ensemble giovani, tanto sconosciuti quanto motivati, si sono trovati dinanzi a un muro invalicabile.

Zappa ha lasciato alla musica un'eredità immensa che va resa più accessibile. Lo sappiamo bene: estetica, libertà e business sono un triangolo forse ancor più impossibile e minaccioso di quello delle Bermude. Il passaggio dei diritti discografici di Zappa alla numero uno delle multinazionali della musica, ha un che di "contronatura", ma schiude scenari imponderabili. Universal non è solo dischi ma anche editoria musicale. Magari si apriranno anche le porte alla circolazione delle partiture.

(Articolo pubblicato sul "giornale della musica" 296, ottobre 2012)

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