Trap d'autore con Fabrizio De Andrè

Il meraviglioso mondo della pagina Facebook "Fabrizio De Andrè canta la Trap", e come ascoltiamo la musica

De Andrè canta la trap
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Il meraviglioso mondo in cui Fabrizio De Andrè canta la Trap: una pagina Facebook, una parodia, e una riflessione su come ascoltiamo la musica.

Da pochi giorni è apparsa su Facebook (e potrei scommettere che diventerà “virale” nel giro di qualche settimana) una pagina su cui poco è dato sapere – e su cui, per non rompere l’incanto iniziale, poco voglio per ora sapere.

Si chiama “De Andrè canta la trap”. Nelle informazioni si legge soltanto:

«Fabrizio De André si cimenta, con la consueta umiltà, nel repertorio dei suoi colleghi contemporanei».

Dalla pagina si arriva ad alcuni video – quattro, per ora – in cui Fabrizio De Andrè (o più probabilmente un suo imitatore davvero bravo) interpreta, chitarra e voce, alcuni successi recenti del filone trap, “Rockstar” e "Tran Tran" di Sfera Ebbasta, “Cono gelato” della Dark Polo Gang (la mia preferita) e “Habibi” di Ghali. L’effetto “autenticità” è garantito, oltre che dall’incredibile grana vocale di chi canta, anche dal suono generale, che ricorda veramente (per come è equalizzato) i vecchi vinili di Faber, errori di mix inclusi.

Perché ne parlo? Beh, intanto perché è un’operazione davvero divertente. E poi perché – mi pare – si presta benissimo per svelare almeno una piccola parte dei meccanismi che stanno dietro a come ascoltiamo e valutiamo la musica.

La trap è la musica del momento. Genere di origine americana, una delle molte filiazioni del rap, in Italia ha assunto regole un po’ tutte sue, raggiungendo comunque un eccellente livello di produzione e arrivando alle vette del mainstream con alcuni nomi in particolare – Ghali e Sfera su tutti. Il primo “disco” di Sfera Ebbasta, Rockstar (il primo disco di una musica che non si diffonde attraverso i dischi, e che vive di clip su YouTube e Instagram), uscito a inizio anno, ha polverizzato tutti i record di streaming, piazzando 11 brani (cioè l’intero disco) ai primi 12 posti della classifica di Spotify.

Come hanno vissuto la critica musicale (almeno, quella che una volta si sarebbe detta critica “trinariciuta”) e i settori più colti della società civile questa esplosione della trap?

Beh, con il consueto aplomb che avevano riservato in passato al rock and roll, ai Beatles, alla disco music e persino (per un breve periodo) ai cantautori italiani. Qualcosa a metà strada fra la calata dei vandali che stuprano le nostre donne e l’uscita di un disco di Kenny G (non linko, ma se volete divertirvi fatevi un giro a vedere che cosa si è scritto di questa “musica di merda” – cit.)

E veniamo a De Andrè canta la trap. È incredibile l’effetto che queste canzoni fanno in questa versione “familiare” per quanti sono cresciuti ascoltando i cantautori. I testi – vera ragione dell’odio per la trap – che parlano di fumare canne e vantano la potenza sessuale del trap boy (caspita, una vera novità nelle musiche di origine afroamericana!) ne escono trasfigurati. Se si chiudono gli occhi e si pensa che sia veramente De Andrè ad averli scritti (e – badate – non è poi così implausibile) si nota come si collochino alla perfezione nella poetica del genovese, fatta di attenzione per gli ultimi (“vogliono mio fratello color cioccolato”, “dalla tua troia in strada sai che prendo la stecca”) e segnata profondamente dalla dipendenza da sostanze (“Fumiamo i casini, beviamo i problemi”).

Diventano, insomma, testi poetici, melanconici, profondi.

O forse non lo erano già? In fondo cambia solo il modo in cui vengono cantati e – soprattutto – interpretati da chi li ascolta…

Fra qualche giorno si scoprirà l’autore di questa parodia. A me piace pensare, per ora, che sia Cristiano, stufo di cantare sera dopo sera i successi del padre, mentre i tredicenni se ne sbattono di “Marinella” e stanno fuori, intorno allo smartphone, ad ascoltare Sfera e ad aspettare che escano i genitori.

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