Claude Debussy
Monsieur Croche. Tutti gli scritti
Milano, il Saggiatore 2018, 342 pp., 29€
In un’ideale quanto personale (e quindi arbitraria) galleria di compositori attivi tra Otto e Novecento che, con modalità differenti e più o meno intense, hanno vestito anche i panni del “critico militante”, fra personalità come quelle di Robert Schumann, Hector Berlioz, Ferruccio Busoni o Ildebrando Pizzetti, giusto per citarne a caso alcune tra le più conosciute, il nome di Claude Debussy emerge con un’evidenza del tutto particolare.
Un dato, questo, confortato da più fattori, tra i quali troviamo la linearità e consapevolezza con le quali Debussy ha pubblicato i suoi articoli – tra il 1901 e il 1917 – su diversi periodici e testate, lo stile di scrittura personale, nutrito al tempo stesso di rare doti di ironia e lucidità, o ancora la volontà mai pienamente soddisfatta di raccogliere i suoi scritti in un compendio che ne restituisse in maniera completa le differenti prospettive di lettura scaturite dall’osservazione della musica e della cultura musicale del proprio tempo.
In questo quadro appare emblematico il percorso fatto registrare dalla raccolta titolata Monsieur Croche antidilettante, alla cui compilazione lo stesso autore aveva messo mano prima che la prematura scomparsa lasciasse incompiuto il suo lavoro di scelta, selezione e revisione. Venticinque di questi scritti raccolti dallo stesso Debussy videro comunque la luce, con il celebre titolo già ricordato, nel 1921, vale a dire tre anni dopo la sua morte. A distanza di cinquant’anni François Lesure raccolse poi tutti gli articoli scritti dal compositore, le interviste da lui rilasciate, oltre ad alcuni testi di carattere occasionale, pubblicando l’antologia completa intitolata Monsieur Croche. Tutti gli scritti, integrata ulteriormente nel 1987.
In Italia la prima versione della raccolta ha goduto di diverse edizioni – per case editrici quali Bompiani, SE, Studio Tesi, Adelphi – fino ad arrivare “finalmente” – come titola la sua bella introduzione il curatore Enzo Restagno – alla traduzione integrale (ad opera di Anna Battaglia) del lavoro di Lesure, pubblicato dalla casa editrice il Saggiatore lo scorso anno in concomitanza con il centenario della morte del compositore.
In questa nuova veste anche il lettore italiano ha ora la possibilità di attraversare l’immaginario tratteggiato dagli scritti di Debussy, seguendone il tracciato cronologico, peregrinando tra pensieri più o meno estemporanei consegnati alle pagine di testate quali La Revue blanche, Gil Blas, Musique o Le Figaro, completando la messe di informazioni, riferimenti e suggestioni via via raccolte grazie alle opportunità di approfondimento offerte da alcune variegate interviste o da testi come, tra gli altri, “Perché ho scritto Pelléas”, una lucida introduzione al Pelléas et Mélisande redatta su richiesta del segretario generale del Théâtre national de l'Opéra-Comique in occasione del debutto dell’opera nell’aprile del 1902.
Ed è seguendo questo percorso di lettura che, l’anno prima, incontriamo proprio Monsieur Croche, suo alter ego così descritto dallo stesso Debussy sulle pagine de La Revue blanche il primo luglio del 1901: «Aveva un volto asciutto e piccolo, e gesti visibilmente allenati a sostenere discussioni metafisiche […]. Parlava con voce sommessa, non rideva mai, a volte sottolineava la conversazione con un sorriso muto che partiva dal naso e gli increspava tutto il viso, un’acqua tranquilla dove si getta un sasso. Una cosa che si prolungava in modo insopportabile».
Questo gusto per una scrittura nutrita di ironiche sottigliezze e rimandi elegantemente sardonici emerge in maniera più o meno brillante in tutti gli articoli di Debussy, testimoniando quella fisiologica disomogeneità frutto di una stesura legata al carattere contingente proprio delle occasioni offerte dalla cronaca musicale. Così, scrivendo del Parsifal di Wagner, il compositore ha modo di rappresentarlo come «una geniale confutazione della Tetralogia», oppure trattando dell’arte di Massenet così ne descrive i caratteri: «Massenet sembra essere stato vittima del gioco di ventagli delle belle ascoltatrici che a lungo palpitarono per la sua gloria; e lui volle a tutti i costi legare la propria reputazione a questo palpitare di ali profumate. Un vero peccato, era come voler addomesticare un volo di farfalle…».
Tra gli oggetti messi al centro delle sue riflessioni, Debussy si pone di fronte anche alle questioni legate ai progressi tecnologici della propria epoca trattando, per esempio, dei sistemi di riproduzione sonora in un articolo pubblicato nel maggio del 1913 nell’ambito della sua rubrica mensile dedicata ai “Concerts Colonne” sulla rivista S.I.M. che aveva Émile Vuillermoz (allievo di Fauré, critico musicale, autore di una monografica sullo stesso Debussy pubblicata nel 1957) come capo redattore: «In un’epoca come la nostra in cui il genio della meccanica raggiunge una perfezione insospettata, ascoltare le opere più celebri è più facile che bere un boccale di birra, e non costa che dieci centesimi, quanto pesarsi su una bilancia automatica. Come non temere questo addomesticamento del suono, questa magia contenuta in un disco che chiunque potrà risvegliare a suo piacere?».
Quella offerta da queste pagine appare, in sintesi, come una lettura a più livelli, capace di offrire una visione sul mondo musicale del primo Novecento la quale, oltre a farci respirare l’atmosfera dei teatri e delle sale da concerto indagate dallo sguardo acuto e sornione del Debussy “critico militante”, ci racconta qualcosa anche della sua visione di uomo di cultura, artista e compositore, immerso in prima persona nei caratteri e nelle contraddizioni del proprio tempo.