Low: spleen e spiritualità

È un elogio della lentezza (e del minimalismo) il nuovo disco del trio di Duluth

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pop

Low
Ones and Sixes
Sub Pop

Con l'undicesimo album della serie, quinto consecutivo per conto della celebre etichetta indipendente di Seattle, i Low riaffermano le prerogative che definiscono il loro profilo artistico, anziché avventurarsi chissà dove in cerca di novità. Avendo alle spalle capolavori quali Drums and Guns (2007) e The Great Destroyer (2005), dovevano più che altro rassicurare se stessi e il proprio pubblico dopo il mezzo passo falso compiuto due anni fa con The Invisible Way.

Campioni del cosiddetto slowcore (una sorta di esasperazione della lentezza in chiave minimalista), ne rivisitano i precetti in episodi come "Gentle" e "The Innocents", in cui si alternano in voce e duettano il chitarrista Andrew Sparhawk e la batterista Mimi Parker, nucleo fondante del trio di Duluth (medesima cittadina del Minnesota che ha dato i natali a Bob Dylan), nonché coppia nella vita privata e mormoni praticanti. È un'insolita combinazione fra spiritualità e spleen esistenzialista a dare forma e senso alle canzoni, inclini perciò a una malinconia contemplativa, evidente sia nell'austera "No Comprende" sia nella struggente "Into You". Ciò non impedisce loro alcuni occasionali slanci pop, testimoniati qui dalle squisite "Lies" e "What Part of Me". Non tutto sta a quei livelli e a tratti - in "Landslide", che soccombe di fronte al peso delle sue stesse ambizioni, protraendosi con fatica per quasi dieci minuti, ad esempio - l'ispirazione sembra venir meno. Ma fare musica è come tirare i dadi: possono uscire i sei, oppure gli uno. E il titolo del disco pare alluda appunto agli alti e bassi che la sorte riserva a chi la tenta.

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