L'Opera secondo Dorny

Lyon: intervista al direttore generale Serge Dorny

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Il programma dell'Opéra National de Lyon per il 2016-2017 merita sicuramente qualcosa di più di un rapido sguardo, perché non si tratta semplicemente della stagione di un importante teatro lirico (il secondo di Francia) ma è qualcosa di speciale, un progetto fedele a se stesso e allo stesso tempo sempre nuovo, che ogni anno riserva delle sorprese. Ne abbiamo parlato con il direttore generale, il belga Serge Dorny. Non va dimenticato che Dorny ha iniziato a La Monnaie di Bruxelles al fianco di Gérard Mortier (un imprinting che ancora si riconosce bene nelle sue parole e nei suoi fatti) e che è a Lyon dal 2003, con un brevissimo intermezzo alla Sächsische Staatsoper di Dresda, finito praticamente prima di iniziare a causa dei contrasti col direttore musicale Christian Thielemann. A Lyon invece Dorny se lo tengono stretto, a parte le piccole beghe interne inevitabili in tutti i teatri, come una lettera critica di alcuni dipendenti che, al suo rientro da Dresda, aveva da ridire sul suo carattere ma non trovava niente di concreto da rinfacciargli Lo abbiamo incontrato nei giorni scorsi e per prima cosa gli abbiamo detto - un po' provocatoriamente - che per chi viene dall'Italia è uno choc vedere che in questa stagione non si canta mai in italiano e nella prossima solamente in due opere, "Viva la mamma” e “L'incoronazione di Poppea”, mentre Verdi e Puccini sono assenti da anni. Non è una questione di orgoglio nazionale ferito ma stupore misto ad ammirazione, perché ci vuole coraggio per fare una stagione senza neppure un titolo di repertorio, tranne forse il “Tristano e Isotta” e l'“Elektra”, che magari saranno di repertorio in Germania ma non in Italia e - a dire il vero - neppure in Francia.
«Credo che l'Opéra di Lyon abbia una programmazione audace ma anche equilibrata. Abbiamo fatto negli anni passati Verdi e Puccini e li faremo in futuro, ma quello che vogliamo evitare è proprio il concetto di repertorio. Il nostro non è un teatro "di repertorio" come quelli tedeschi, noi abbiamo una "stagione" di una decina di titoli, dunque dobbiamo fare delle scelte. Ma non fare il repertorio non significa che dimentichiamo il passato dell'opera, tutt'altro, perché i titoli che formano il cosiddetto repertorio sono solamente una minima parte della storia dell'opera, sì e no un centinaio sulle migliaia di opere scritte in quattro secoli. Noi vogliamo far riscoprire al pubblico opere del passato interessanti ma dimenticate. Per esempio, nelle scorse settimane abbiamo rappresentato “La Juive” di Halévy, una delle opere francesi più importanti e di maggior successo nell'Ottocento, che da ottant'anni era quasi completamente scomparsa. Negli scorsi anni l'Opéra di Lyon ha seguito soprattutto la vocazione della contemporaneità e si è immersa nel presente del mondo, ma ora vuole riscoprire il fascino della memoria».

Infatti nel 2017 il vostro festival annuale sarà intitolato proprio "Memorie".
"L'opera come tutte le arti della rappresentazione è effimera e fugace: esiste qui e ora, ma è anche in un altro tempo e in un altro luogo, perché rivive nella memoria. Amiamo quello non potremo più vedere: infatti non vedremo più lo spettacolo che abbiamo amato, ma ce lo ricordiamo, e con gli anni diventa un mito. Nel festival dell'anno prossimo vogliamo far rivivere per gli spettatori d'oggi tre grandi regie degli scorsi decenni: l'Elektra di Ruth Berghaus, rappresentata nel 1986 a Dresda, il Tristan und Isolde di Heiner Müller del festival di Bayreuth del 1993 e l'Incoronazione di Poppea di Klaus Michael Grüber del festival di Aix-en-Provence del 2000. Questi spettacoli sono tre pietre miliari del teatro d'opera della fine del secolo scorso e chi li ha visti allora li ha ben impressi nella memoria ancora oggi, ma ricrearli è una scommessa, perché gli anni trascorsi funzionano come un prisma che ce li farà apparire diversi».

Il vostro è un vero festival, perché chi verrà a Lyon tra il 16 marzo e il 2 aprile 2017 potrà ascoltare in tre giorni tre opere diverse, però allo stesso tempo è pienamente inserito nella stagione, di cui costituisce il momento culminante. C'è un filo rosso che collega stagione e festival?
«Non facciamo stagioni monotematiche, però talvolta un'opera ce ne suggerisce un'altra. La Juive, che finisce col rogo della protagonista, ha suggerito Jeanne d'Arc au bûcher di Honegger e L'Angelo di Fuoco di Prokofiev per la prossima stagione».

L'Opéra di Lyon dà sempre particolare attenzione alla messa in scena.
«Certamente, perché l'opera è teatro. Nel 2017 inizieremo una collaborazione pluriennale con Romeo Castellucci, che farà il suo debutto a Lyon con Jeanne d'Arc au bûcher. Un altro debutto, non solo a Lyon ma in Francia, sarà quello dell'australiano Benedict Andrews, uno dei più interessanti registi di oggi, che farà L'Angelo di fuoco. Torneranno Peter Langdal per Una notte a Venezia e i fedelissimi Alex Ollé/La Fura dels Baus e Laurent Pelly, rispettivamente per Alceste e Viva la Mamma».

Questa programmazione così poco tradizionale non vi ha creato problemi con il pubblico?
«La percentuale di riempimento della sala è altissima [posso confermarlo: ho visto il teatro pieno non solo per La Juive ma anche per un'opera in prima assoluta come Benjamin, dernière nuit di Michel Tabachnik, ndr] e questo dipende dal fatto che l'Opéra di Lyon è uno dei teatri con la minore percentuale di abbonati. Ciò ci permette di rivolgerci a un pubblico molto più ampio, a tutti i lionesi e agli abitanti della regione, non solo a un gruppo ristretto di abbonati, che generalmente hanno gusti piuttosto tradizionalisti».

Recentemente avete annunciato la nomina di Daniele Rustioni a "chef permanent" dell'Opèra di Lyon. Rustioni è giovane, uno dei più promettenti giovani direttori italiani, ed ha già un lungo curriculum di direttore d'opera, in cui però figurano esclusivamente Rossini, Donizetti, Verdi, Puccini, Mascagni, con l'unica eccezione della Juive, proprio qui da voi. Non troverà delle difficoltà a inserirsi nella vostra programmazione?
«Quando l'Opéra di Lyon sceglie un direttore, è per iniziare un processo di crescita comune. John Eliot Gardiner, quando è stato nominato direttore musicale, nel 1983, era noto soltanto per le esecuzioni di musica antica su strumenti originali con il suo gruppo, ma qui ha diretto anche opere del Novecento. Similmente il nostro attuale direttore Kazushi Ono era, prima di venire a Lyon, soprattutto un direttore sinfonico, con esperienze operistiche limitate all'opera contemporanea, ma da noi ha ampliato moltissimo il suo repertorio. Sono sicuro che qualcosa di simile accadrà con Rustioni: ho molti progetti su di lui. Intanto nel 2016-2017 dirigerà, ancora prima di assumere l'incarico, l'operetta Una notte a Venezia di Strauss. La sua prima stagione come direttore principale la inaugurerà dirigendo una versione scenica del War Requiem di Britten. Poi ho in mente per lui l'opera russa. E anche qualche opera italiana: penso in particolare la Macbeth».

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