A tre anni dalla sua scomparsa, avvenuta il 18 agosto del 2018, Aretha Franklin in realtà è più presente che mai grazie al cofanetto con quattro CD Aretha, al film Respect, che uscirà in Italia il 7 ottobre, e alla proiezione in alcune sale per tre giorni nello scorso mese di giugno del documentario Amazing Grace, girato da Sidney Pollack nel gennaio del 1972 durante la registrazione live dell’omonimo disco. Molto materiale quindi che ci dà l’occasione di ripercorrere una vicenda umana e artistica fuori dal comune.
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Partiamo da Amazing Grace: è il 1972 e Aretha ha già nel carniere 24 album – la sua carriera discografica è cominciata nel 1956 –, alcuni dei quali autentiche pietre miliari della black music, quando, d’accordo con i dirigenti della Atlantic, decide di fare ritorno a quella musica con cui aveva cominciato da ragazzina: il gospel. Per due serate Aretha si esibisce nella chiesa battista New Temple Missionary di Los Angeles in compagnia della sua band, del Southern California Community Choir e del reverendo James Cleveland. Il risultato è il più bello nonché il più venduto album di gospel della storia.
Il documentario è uscito solo nel 2018, vale a dire 46 anni dopo quelle due magiche serate. Gli ingredienti per il successo, a dire il vero, c'erano tutti: la regina del soul che torna a cantare in chiesa, la regia di Sydney Pollack reduce dalla nomination agli Oscar per Non si uccidono così anche i cavalli?, il gospel. Il film però non fu mai terminato a causa di un imperdonabile errore tecnico che non permise a Pollack di sincronizzare il suono. Incredibile ma vero: mancava il ciak sul set.
Il film non fu mai terminato a causa di un imperdonabile errore tecnico che non permise a Pollack di sincronizzare il suono. Incredibile ma vero: mancava il ciak sul set.
Quando Alan Elliott ha ripreso in mano il progetto potendo sfruttare nuove tecnologie, Amazing Grace è tornato alla luce rivelandosi come prezioso documento-monumento in grado di restituire non solo la grandezza di un'artista, ma anche il senso della potenza aggregante di una musica – il gospel – che si fa comunità.
Una chiesa spoglia, sedie di legno, una tensione che si taglia col coltello desiderosa di trasformarsi in pura gioia, Mick Jagger, Charlie Watts e il padre della Franklin tra gli spettatori della seconda serata, e poi Lei, una presenza maestosa, all’inizio tesa ed emozionata ma poi totalmente a suo agio con le canzoni della sua infanzia. Le immagini, nella loro essenzialità, restituiscono perfettamente la magia di quelle due serate destinate a dare vita a un album memorabile.
Il biopic Respect, tra le altre cose, ha il grande merito di aver messo d’accordo le diverse case discografiche per cui Aretha ha inciso nel corso della sua carriera – Columbia, Atlantic e Arista - e farle lavorare insieme alla realizzazione del cofanetto ARETHA pubblicato dalla Rhino.
81 canzoni, dall’iniziale “Never Grow Old”, un gospel inciso all’età di 14 anni, a “My Country ‘Tis of Thee”, cantata a Capitol Hill durante la cerimonia d’insediamento di Barack Obama, e “You Make me Feel (like a natural Woman)” al Kennedy Center nel 2015, cantata di fronte alla coppia presidenziale e a Carole King, autrice della canzone.
Ci sono pezzi mai comparsi su CD, brani inediti, esibizioni dal vivo e ovviamente tutti gli episodi che hanno reso la Franklin la cantante più famosa del mondo, spesso in versioni diverse, rendendo così la raccolta appetibile anche per coloro che già possiedono le versioni originali.
Come già scritto, fra tre mesi, pandemia permettendo, sarà possibile vedere Respect, film diretto da Liesl Tommy, con l’attrice Jennifer Hudson nei panni di Aretha – scelta approvata dalla cantante poco prima della sua morte –, che ebbe il non facile compito di cantare “Amazing Grace” alla sua cerimonia funebre, Forest Whitaker a interpretare il padre della Franklin e la cantante Mary J. Blige nel ruolo di Dinah Washington.
Il 2021 è dunque l’anno di Aretha, a dimostrazione che il mondo ha ancora bisogno della sua voce ineguagliabile.