L'amore di Ethan Iverson

Il pianista, già con i Bad Plus, in un disco che indaga con affetto e intelligenza nella tradizione jazz

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Ethan Iverson The Purity Of The Turf Criss Cross Jazz, distr. Ird

Chi conosca anche solo un po’ l’intelligente versatilità di Ethan Iverson non si stupirà certo di ascoltarlo alla testa di un classico piano trio con un monumento del contrabbasso come Ron Carter e lo splendido apporto di Nasheet Waits – musicista esplicitamente in grado di muoversi sia su terreni tradizionali che più avventurosi – alla batteria.

Così come non troverà certo inusuale che una buona parte del repertorio del disco The Purity Of The Turf faccia esplicito riferimento ai decenni “d’oro” del jazz moderno, spaziando da Charlie Parker a Benny Golson, da Count Basie a Andrew Hill, passando per Horace Silver ma anche per l’omaggio a Paul Bley con “So Hard It Hurts” di Annette Peacock.

Non mancano anche temi originali, come la title-track (dal sapore monkiano) o la notevole “Kush” firmata dal batterista, a completare una “scaletta” di intrigante eleganza, in cui il leader riesce a coniugare il tipico approccio obliquo che gli conosciamo dal lavoro con i Bad Plus, con la volontà di tracciare una linea precisa di discendenza dalla tradizione di riferimento.

Ne esce un disco non solo godibilissimo (come sarebbe ampiamente prevedibile), ma anche punteggiato di piccole deviazioni, accenti, frammenti, idee che raccontano al meglio come sia l’approccio quello che fa la differenza quando si sceglie di affrontare, per l’ennesima volta, un tema come “Song For My Father” o “Along Came Betty”.

In un mercato discografico jazz saturo di dischi in cui il livello “tecnico” non costituisce infatti più alcun termine di discussione, la differenza la fa l’intenzione, lo sguardo, la sapienza del musicista. E in questo Iverson, dotato di un’intelligenza analitica, oltre che istintuale, può mettere in campo risorse davvero stimolanti, facendo baluginare nei temi originali la profondità di un linguaggio stratificato storicamente, così come infondere agli “standard” più abusati le aperture verso un presente che chiede ancora di interrogarli senza che la riproposizione sia, per quanto accurata, un semplice omaggio.

Disco di amore per il jazz, destinato a chi ascolta con il medesimo sentimento.

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