La Sicilia di Cattano

Il trombonista ha presentato il suo ultimo lavoro al Fonterossa Day, il "festival" dell'etichetta - e factory - di Silvia Bolognesi

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Piccole etichette crescono. Lo scorso 22 marzo il Fonterossa Day è stato l'occasione per ascoltare alcuni tra i più talentuosi musicisti della scena jazz italiana, riuniti sotto il progetto di produzioni discografiche voluto dalla compositrice e contrabbassista Silvia Bolognesi. E se le parole hanno descritto il senso di una visione che ha trasformato l'idea iniziale di autoproduzione della Bolognesi in una factory allargata aperta a tutti quei musicisti che ne condividono direzione e intenti, i concerti ne hanno dimostrato il livello.

Al Teatro Sant'Andrea - all'interno del ricco e variegato cartellone di Pisa Jazz - si sono viste tre fra le più interessanti formazioni del momento: Almond Tree, Jo Jo Sound e l'ottetto del trombonista Tony Cattano, con una parentesi al locale Sottobosco per ascoltare il solo del clarinettista romano Marco Colonna. Ci sarebbe tanto da dire su ciascuna delle proposte, ma è sulla prima assoluta del disco L'uomo poco distante di Tony Cattano che mi voglio soffermare, in particolare perchè in esso c'è probabilmente una chiave più ampia di quello che il jazz è e potrebbe essere.

Un lavoro che nasce dalla memoria della propria terra - la Sicilia - e dalla terra prende vita seppur evocandone la sua fine. L'esperienza del trombonista nella banda del paese, da ragazzo per accompagnare i riti funebri, si è attaccata alla memoria con atmosfere che vengono restituite in nove composizioni che evocano tanto la tradizione che certe tessiture armoniche e timbriche delle orchestrazioni di un Mingus o di un Ellington. La musica, densa e sostenuta, eseguita a occhi chiusi e con trasporto da musicisti eccelsi come Beppe Scardino e Pasquale Mirra e arricchita dalle venature "ribottiane" della chitarra di Giacomo Ancillotto. Il battito preciso e essenziale del batterista Daniele Paoletti ne danno un connotato più umorale, che la sordina di Cattano e il flauto del fratello Carlo accentuano con un senso di rispetto e al tempo stesso una voglia di superare i confini armonici.



La giornata è stata anche l'occasione per approfondire alcuni punti con lo stesso musicista.

Come è nato L'uomo poco distante? «Il disco nasce dall'idea di reinterpretare alcune mie composizioni vecchie e nuove rendendole molto vicine al mood espressivo bandistico, in particolare quello delle marce funebri, traendone un carattere visionario vicino all'idea di atemporalità trasversale che un certo tipo di jazz riesce oggi a trasmetterci. È un disco nato attraverso un'idea netta e sincera basata sul ricordo, la figura di un personaggio che si tiene a breve distanza dal corteo funebre ha suscitato in me curiosità ed interesse: ho voluto paragonare, nelle note di copertina, questa figura agli uomini che non sono più tra noi ma sono poco distanti per via del ricordo che ci hanno lasciato».

Quanto è legato alla tua terra e alla sua distanza? «L'idea di arrangiare un repertorio legato al suono delle marce funebri mi è venuta pensando alla bellissima esperienza che ho vissuto nei primissimi anni di studio del mio strumento: ho suonato in banda per diversi anni partecipando a svariate processioni, feste di paese e funerali. Penso che quel tipo di esperienza sia stata di fondamentale importanza. Oggi a distanza di vent'anni mi sono cimentato nell'imbastire queste composizioni cercando di immettere in esse un sapore popolare e allo stesso tempo anche colto e nobile, come del resto traspare anche nello scenario ricco di poesia e assolutamente controverso della mia terra. Nel percorso della mia carriera ho vissuto in diverse città, tra cui Roma, e da qualche anno mi sono trasferito a Livorno. Ho cercato di portare con me, a prescindere dal luogo di residenza, le caratteristiche autentiche e la mescolanza di culture che la Sicilia storicamente si porta dietro».

Puoi parlarmi della scelta dell'organico?
È avvenuta in maniera del tutto naturale, ho cercato di privilegiare un impasto sonoro scuro e di scegliere i musicisti in base alla bellezza del loro suono. La mia generazione vanta di un numero considerevole di musicisti intelligenti e bravissimi che riescono a concepire un modo aperto e creativo di fare musica. I musicisti dell'ottetto riescono a calarsi nella mia visione estetica della musica accantonando momentaneamente le loro possibilità e peculiarità tecnico-espressive a favore di un suono cameristico e "autunnale" del collettivo.

Quali sono i tuoi riferimenti musicali? Si sente forte la tradizione, l'influenza di Duke Ellington, di Mingus...
«Duke Ellington e Charles Mingus sono stati da sempre i miei punti di riferimento musicale, aggiungerei anche Thelonious Monk. Adoro che Mingus amasse così tanto Ellington... Col tempo questi illustrissimi maestri sono stati il mio punto di riferimento musicale che traspare anche su L'uomo poco distante. Le influenze presenti nel disco appartengono anche a mondi diversi: il melodramma italiano (in particolare Giacomo Puccini e Vincenzo Bellini), la musica dal sapore cinematico dei film noir francesi, la musica per banda di alcuni compositori come il pugliese Nino Ippolito, autore di bellissime marce funebri e sinfoniche, la tradizione jazzistica di New Orleans e il concetto di "Black" di un certo jazz come lo è per The Black Saint And The Sinner Lady di Charles Mingus che è stato da sempre uno dei miei album preferiti».

Cosa pensi della situazione attuale dei musicisti professionisti e con quale spirito vivi la diffusione di questo progetto?
«Oggi purtroppo gli spazi dove poter presentare un progetto originale sono molto pochi... La situazione riguardo le programmazioni concertistiche è spesso manovrata da politiche clientelari e logiche assai diverse da quella che può essere una scelta artistica disinteressata che tende a valorizzare la bellezza complessiva della rassegna in questione: mi piacciono particolarmente i festival musicali che propongono progetti interessanti e nuovi all'interno dei loro cartelloni, valorizzando non soltanto i singoli gruppi di punta ma tutta l'operazione e struttura della rassegna in modo che i fruitori possano scoprire nuove realtà contemporanee a quelle consolidate. Aver pubblicato questo disco con un'etichetta come Fonterossa è stato del tutto naturale vista l'intensa collaborazione con Silvia Bolognesi in vari progetti che dura da più di dieci anni. Penso che il concetto di autoproduzione sia indispensabile oggi per affermare una visione libera e non sottomessa a leggi di mercato che deviano la sincerità espressiva del progetto stesso».

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