ITALODISCHI #3 2025 – Il ritorno dei big

In questa puntata Lucio Corsi, I Cani, Neffa, Cristiano Godano, Baustelle, Energumeni, The Dining Rooms

cani
Niccolò Contessa
Articolo
pop

In attesa di completare la selezione degli album italiani usciti tra marzo e aprile che meritano una menzione, ci portiamo avanti col lavoro e cominciamo a scrivere di quei titoli che, per importanza storica o congiunturale, richiedono un trattamento obbligatorio: quindi nomi blasonati, già noti, storicizzati o comunque molto chiacchierati, che non potremmo fare a meno di citare. 

A breve ci sarà la seconda puntata, in cui avremo invece modo di evidenziare artisti più di nicchia ma diversamente meritevoli.

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Lucio Corsi, Volevo essere un duro

Come si fa a non aprire con Lucio Corsi? Dopo l’exploit sanremese, da poco bissato con la partecipazione all’Eurofestival, è improvvisamente diventato un idolo delle folle, calamitando gli interessi sia del pubblico indie che, soprattutto, di quello più mainstream. L’album del dopo Sanremo, Volevo essere un duro, è diventato un caso; è veramente gloria meritata? 

Sì e no, sinceramente. Che Corsi sia dotato di un discreto talento non è una sorpresa (ne avevamo parlato qui), ma bisognerebbe rimanere coi piedi per terra: questo album non è male, ma certo non si tratta di un capolavoro come alcuni vogliono far credere. L’impressione è che le influenze glam si siano un po’ stemperate in favore di un sound più leggero: insomma, più Renato Zero che David Bowie. 

Più Renato Zero che David Bowie. 

Con l’ulteriore difetto che i pezzi più marcatamente rock sono piuttosto banali, e quelli dichiaratamente easy fin troppo melensi, ben lontani dall’equilibrio di scrittura di Calcutta, per fare un nome. Lucio rimane un personaggio simpatico, probabilmente questo disco gli farà fare un salto di carriera, ma sinceramente lo abbiamo visto fare di meglio.

I Cani, Post Mortem

Ci ha fatto aspettare quasi dieci anni, il buon Niccolò Contessa, per dare un seguito all’acclamato album Aurora, che rimarrà probabilmente il capolavoro de I Cani. Con Post Mortem, l’impressione è strana: da una parte siamo in piena continuità col passato, dall’altra sembra quasi di sentire una nuova band. Forse, banalmente, quello che è cambiato è il contesto in cui sentiamo il disco: se dieci anni fa I Cani in Italia erano pura avanguardia pop, da allora la loro lezione (pop song elettroniche in perfetto bilico tra beat arrembanti, melodie pungenti e testi dissacranti di malinconico cinismo postmoderno) è stata assimilata e rielaborata in mille modi; anche se raramente ha raggiunto i vertici del modello originale – il solo che ci è riuscito è forse Tutti Fenomeni, per il quale peraltro Contessa agiva in veste di produttore. 

Il resto del mondo, invece, sposava la causa del disimpegno dichiarato, della superficialità; per questo Post Mortem, che ha un contenuto di tutt’altro spessore, fino a toccare vette drammatiche, è quasi un oggetto alieno, fuori dal tempo. Anche la sua musicalità, che riprende e aggiorna lo stile classico della band ma in versione molto più scura e pessimista, appare altrettanto stilizzata, anche se di perfezione sonora immacolata. Forse questo non è un album per raccattare nuovi fan, ma a giudicare dai sold out già annunciati per il tour autunnale, per I Cani questo sembra essere l’ultimo dei problemi.

Neffa, Canerandagio – Parte 1

Per quel che riguarda i ritorni eccellenti, anche per Neffa possiamo dire lo stesso, poiché, anche se nominalmente il suo ultimo album (Amarammore) risulta essere del 2021, lui non pubblicava un disco di rap da quasi trent’anni. E fin dagli inizi l’eco dell’epoca indimenticabile degli anni Novanta, quella che andava dai Sangue Misto fino ad “Aspettando il sole”, si impone inevitabilmente. 

Canerandagio non è, tuttavia, un disco nostalgico, anche se il sound è più vicino al suddetto decennio che alla contemporaneità; a renderlo moderno, e a contribuire alla sua riuscita, è la parata di featuring di nomi recenti, più di uno per quasi ogni canzone: da Gué a Frah Quintale, da Joan Thiele a Izi, da Franco126 a Francesca Michielin, e tanti altri. Mood scuro ma non troppo, esito non spettacolare ma più che onesto.

Cristiano Godano, Stammi accanto

Al secondo album solista, Cristiano Godano marca un distacco stilistico netto dai Marlene Kuntz, che peraltro rimangono vivi e vegeti (di questi giorni è un tour di alcune date con l’orchestra, addirittura). Il leader in versione solo scopre invece la sua dimensione più cantautorale, lascia la chitarra elettrica per l’acustica, e riadatta le composizioni in modo da richiamare, più della tradizione italica, il songwriting americano. 

Si va dal classicismo di Neil Young, da sempre una grande passione per Godano, ad autori del panorama più recente, quelli sospesi tra malinconia e riflessione esistenziale: Mark Eitzel o Bill Callahan, per fare due nomi. Di fatto, le 8 canzoni di Stammi accanto sono quadretti delicatissimi, mai così melodici per il suo autore, che potranno in parte disorientare il fan terminale di Catartica, ma sul cui valore c’è ben poco da discutere.

Baustelle, El Galàctico

Abbiamo dato un’altra chance ai Baustelle, che ci erano parsi parecchio autoparodistici nel precedente album, per vedere se c’era un miglioramento. Ahimè, non ci siamo. O meglio, c’è in effetti un tentativo di evoluzione, ma non funziona gran che. Questo disco esplode lo stile di scrittura del gruppo in una sorta di ipermelodia, che si potrebbe collocare tra le armonie vocali della West Coast anni Sessanta e la tradizione della musica leggera italiana (a tratti Bianconi forse crede di essere Modugno). Ma il tutto risulta kitsch, troppo pompato, molto verboso e con poco groove; se un consiglio possiamo dare alla band, è di ricordarsi del famoso detto less is more.

Energumeni, Energumeni

Gli Energumeni di questo esordio sono due personaggi ben noti agli ascoltatori con qualche capello bianco, in quanto sulla scena da una buona quarantina d’anni: Fabrizio Tavernelli (En Manque d’Autre e AFA tra i tanti gruppi in cui ha militato, e una carriera solista tuttora attiva) e Manitù Rossi (Le Forbici di Manitù). Il connubio tra i due pare essere avvenuto all’insegna della più sfrenata libertà stilistica, poiché in questo album (pubblicato anche in doppio vinile) si sente una panoplia inesauribile di declinazioni della psichedelia più estrema: dai Residents al kraut rock, dalla no wave alla branca più sperimentale di Canterbury, da un Brian Eno in acido al cosmic rock dei Tangerine Dream. Certo non è questo il disco per voi se cercate canzoni orecchiabili, ma per poco che vi interessi la ricerca sonora la proposta degli Energumeni è veramente stimolante.

The Dining Rooms, Sensibili alle foglie (The Lost Soundtrack)

Arriva un po’ in sordina, pubblicato solo in digitale, il nuovo disco dei Dining Rooms, l’affermato duo milanese composto da Stefano Ghittoni e Cesare Malfatti. Che poi tanto nuovo il disco non è: fu originariamente ideato come colonna sonora per una mostra (e successivamente un ipotetico film) dedicata a personaggi iconici del ventesimo secolo; ma l’evento non si concretizzò mai e il disco rimase nel cassetto, incompiuto, per diversi anni. I due DR ci hanno rimesso mano recentemente, riesumando così i contributi a personaggi controversi come Renato Curcio, Baader e Meinhof, Pier Paolo Pasolini, Gian Maria Volontè, Mario Schifano, Mara Cagol, Marianne Faithfull e tanti altri. Il sound è vicino a quello del primo periodo della band, un trip hop di ricerca essenzialmente strumentale (c’è qui un’unica traccia vocale, cantata da Francesca Bono), del quale si pensa subito che sarebbe colonna sonora ideale per un documentario o per la sonorizzazione di un evento. In assenza di quest’ultimo, la musica è comunque ampiamente affascinante per conto suo.

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