Il jazz di giugno in 10 comode pillole

I dischi del mese (più un libro) da scoprire, da Colin Stetson a Paolo Fresu

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Aaron Parks – Find The Way (ECM)

Al pianista Aaron Parks non mancano certo senso del colore e dello spazio. Lo aveva già fatto capire in solitaria con il disco Arborescence, lo conferma qui in trio con il bassista Ben Street ed il batterista Billy Hart. I colori sono sempre accesi e iridescenti, grazie anche al bel lavoro ritmico di Hart, lo spazio invece ha una sua qualità quasi “ondulatoria” che fonde al meglio quella pulizia melodica tipica dell’etichetta bavarese con una danzante imprevedibilità. Chiusura per una bella rilettura della title-track, dal repertorio di Rosemary Clooney. Arioso.

Pasquale Mirra – Moderatamente solo (Fonterossa Records)

Tra i jazzisti italiani più originali e umanamente ricchi emersi in questi ultimi anni, il vibrafonista Pasquale Mirra si sta ritagliando, anche per la peculiarità dello strumento suonato, un ruolo di assoluta unicità. Bello dunque trovarlo in totale solitudine, solo lui e il vibrafono. Il che significa in realtà un’infinità di suoni, di sensazioni, inevitabilmente “intime”, sia per la natura della pratica, sia per l’esplicita dedica ai genitori. Emergono materiali degli amati Don Cherry e Karl Berger/Ed Blackwell, ma anche di Mingus e Herbie Nichols. Ma emerge soprattutto una sensibilità sonora che travalica il mezzo per diventare un soffio, un rintocco, una frase che resta impressa dentro. Vibrante.

Rova Saxophone Quartet ( Kyle Bruckmann & Henry Kaiser) – Steve Lacy’s Saxophone Special Revisited (Clean Feed Records)

Spettacolare e intensissimo omaggio a Steve Lacy da parte del Rova Saxophone Quartet, che rilegge la musica di un episodio originalissimo della discografia del sopranista. Si tratta di Saxophone Special, anno del signore 1973/74, uno dei primissimi esempi di uso di quartetto di sassofoni (allora erano Evan Parker, Trevor Watts e Steve Potts insieme a Lacy) nel jazz creativo, allora insieme alla chitarra di Derek Bailey e ai sintetizzatori di Michael Waisvisz. Qui ci sono Henry Kaiser e Kyle Bruckmann c’è la tagliente intelligenza di Larry Ochs e compagni, che rileggono quelle pagine attraverso la loro brulicante sensibilità e i quarant’anni di esperienza. Radicale.

The Great Harry Hillman – Tilt (Cuneiform Records)

Segnatevi il nome di questo giovanissimo quartetto svizzero. Elettrico e non convenzionale, melodicamente trascinante senza bisogno di strizzate d’occhio, immerso nei suoni del rock di oggi in modo del tutto naturale. Sax e clarinetto basso, chitarra, basso e batteria, otto brani davvero stimolanti e mai noiosi, tecnica filtrata dall’ironia, sempre nel rispetto di chi ascolta, che viene invitato a salire su una giostra colorata e personale. Avveniristico.

Giovanni Falzone Quintet – Pianeti Affini (Cam Jazz)

La musica del trombettista Giovanni Falzone (che molti conosceranno dal quartetto Tinissima, ad esempio) è sincera, onesta, come lui. Tecnicamente precisa e scintillante, ritmicamente tesa e a tratti scanzonata, immersa nelle radici, ma anche dotata di un’elettricità del tutto contemporanea. Non a caso questo disco è una suite che nasce da un lavoro pittorico dello stesso Falzone, dedicato all’equilibrio planetario nell’universo. Ben assecondato da un quintetto in cui spiccano il trombone di Filippo Vignato e l’azzeccato timbro della fisarmonica di Fausto Beccalossi, il trombettista coglie qui quelle luminose traiettorie che non mancano nel cosmo e nemmeno nel nostro jazz. Astrofisico.

Humcrush – Enter Humcrush (Clean Feed)

Dopo un decennio alla Rune Grammofon, gli Humcrush approdano alla Clean Feed, ma forza del duo norvegese (Thomas Strønen a batteria e elettronica, Ståle Storløkken a tastiere e sintetizzatori) non accenna a diminuire. Anzi. Lo sperimentalismo elettroacustico che li ha sempre contraddistinti – vedi video, che appartiene a un lavoro precedente – si concretizza qui in un flusso lavico e quasi psichedelico che magari chi ha del jazz un concetto più “classico” stenterà a apprezzare, ma che è oggettivamente un elemento lessicale ormai importante per molti improvvisatori e ascoltatori. Suoni inquieti e contemporanei. Intrigante.

Chris Potter – The Dreamer Is The Dream (ECM)

Superbo quartetto acustico per il sassofonista Chris Potter, con il formidabile David Virelles al pianoforte, il bassista Joe Martin e il batterista Marcus Gilmore. Se in passato non avevamo lesinato qualche perplessità verso il Potter leader (come strumentista è indiscutibilmente eccelso), qui la sua musica si immerge in una profondità inedita, in grado di trovare una bella sintesi tra l’incedere pensoso e scuro del suo solismo e gli spazi imprevisti nei quali farlo accadere. Il suo disco migliore. Riflessivo.

Gabriele Coen Sextet – Sephirot. Kaballah In Music (Parco della Musica Records)

Ispirandosi alla simbologia dell’albero della vita secondo la Kabbalah e la mistica ebraica, il multistrumentista Gabriele Coen prosegue con questo bel disco in sestetto la propria ricerca tra eredità musicale ebraica e sonorità del jazz contemporaneo. Inevitabile il richiamo a Zorn (per la cui Tzadik Coen ha anche inciso) e ad alcuni suoi progetti elettrici, ma Coen e compagni di avventura – citiamo tra tutti un preciso Pietro Lussu alle tastiere – gestiscono con personalità una materia sonora piuttosto brillante. Italian Radical Jewish.

Colin Stetson – All This I Do For Glory (52HZ)

A onor del vero è un po’ una forzatura parlare di “jazz” nel caso di Colin Stetson, ma non c’è dubbio che il prodigioso sassofonista statunitense abbia trovato negli ascoltatori del jazz più avventuroso molti – e meritati – fan. Il suo solo, fatto di respirazione circolare e microfoni a contatto, genera infatti magmatiche strutture capaci di assorbire come un buco nero echi di minimalismo, di elettronica (ma non c’è traccia di editing o sovrincisioni, per quanto possa sembrare impossibile, vedetelo dal vivo per credere), di virtuosismo pneumatico in grado di immaginare nuovi universi di suono e ritmo. In questo disco ancor più che nei precedenti. Non è strettamente jazz, ma fa maledettamente bene ascoltarlo. Ipnotico.

The Kenny Clarke/Francy Boland Big Band – All Smiles (MPS Records) Alphonse Mouzon – In Search Of A Dream (MPS Records) Don Ellis Orchestra – Soaring (MPS Records) Baden Powell – Tristeza On Guitar (MPS Records) Albert Mangelsdorff – And His Friends (MPS Records)

Una botta di ristampe ghiottissime dalla storica etichetta tedesca MPS, in bellissimo vinile 180g o in cd. Io ve le suggerisco tutte, a voi se scegliere i suoni orchestrali della Clarke Boland Big Band o dell’eclettico Don Ellis (lo splendido Soaring contiene anche quella “Whiplash” che darà il titolo al discutibile film di Chazelle), se tuffarsi nel Brasile chitarristico di Baden Powell o nell’intensa fusion del compianto batterista Alphonse Mouzon. Se proprio non riuscite a deciderne una, il mio “voto” va a quella meraviglia che è la raccolta di duetti del pazzesco trombonista Albert Mangelsdorff, con “tipi” come Don Cherry, Elvin Jones, Lee Konitz, Karl Berger e altri. Sine qua non.

Paolo Fresu – La musica siamo noi (il Saggiatore)

C’è spazio anche questo mese per un libro, a firma Paolo Fresu. Il popolare trombettista ha già in passato fermato sul foglio – con la spontaneità e la semplicità nota – riflessioni, appunti, viaggi, storie che raccontano la sua carriera e la sua terra così importante, la Sardegna. Questo breve libro fluisce tra aneddoti e riflessioni, senza rivelazioni clamorose, ma ribadendo la contagiosa umanità che non si può non riconoscergli. Cantastorie.

La foto di apertura di Colin Stetson è di Peter Gannushkin

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