Gli anni della Callas

Una mostra al museo del Teatro alla Scala rievoca le opere interpretate dalla cantante a Milano

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A cura di Margherita Palli, la mostra Maria Callas in scena - Gli anni della Scala al museo del teatro rievoca le ventiquattro opere interpretate dalla cantante a Milano, da Aida del 1950 a Medea del 1961. Con costumi, gioielli, filmati, di grande capacità evocativa di un mondo lirico che non c'è più e, da quanto ricorda la protagonista in un'intervista, irripetibile per la grande quantità di tempo allora dedicato alla progettazione degli allestimenti, alle prove, oggi insostenibile da qualsiasi teatro.

Il primo impatto il visitatore l'ha prima di salire la scala che porta alle salette superiori del Museo della Scala, dove in una teca c'è il costume quasi fantasmatico della Vestale, primo impegno nella regia lirica di Luchino Visconti che il 7 dicembre 1954 inaugurò la stagione (nell'agosto di quell'anno alla Mostra del cinema di Venezia venne presentato i>Senso, senza ottenere riconoscimento alcuno a causa dei veti politici). Da quel momento la collaborazione di Maria e Luchino produsse spettacoli indimenticabili, tutti perfettamente documentati nella mostra, insieme a quelli firmati da altri registi.

La parte più significativa la fanno i costumi, realizzati con cura maniacale e materiali da grande sartoria. Da quello più astratto di Medea disegnato da Salvatore Fiume (1953, Bernstein su podio, regia di Margherita Wallmann) al più sfarzoso di Fedora disegnato da Nicola Benois (1956, Gavazzeni sul podio, regia di Tatiana Pavlova), a quello rosso di Traviata (Giulini sul podio, regia di Luchino Visconti) andato perduto e ricreato ora per l'occasione dagli allievi dell'Accademia della Scala. Per non parlare dei gioielli di Violetta, collier e orecchini degni di un grande orafo. È inevitabile che il visitatore si chieda il perché di tanta meticolosità, quando dal pubblico in platea tutti questi dettagli non potevano essere percepiti. La verità è che, parola di Maria Callas, quando l'interprete indossa un abito di tal fatta o porta simili gioielli cambia atteggiamento in scena, il modo di affrontare il personaggio e, per una misteriosa proprietà transitiva, la sua carica emozionale arriva in sala.

Oltre a questi amuleti di alto artigianato, ci sono anche i gesti. In un ritratto di Eleonora Duse firmato da Eduardo Kaulbach, presente alla mostra, l'attrice tiene le mani raccolte sotto il volto in una sorta di raccoglimento, una posizione ripresa dal figurino di Lila De Nobili per Traviata e perfettamente assunta in scena dalla cantante. E poi le documentazioni filmate. La più significatica è forse una scena di Medea, ripresa dalla buca d'orchestra in modo amatoriale, nella quale la gestualità di Maria Callas coincide con il suo canto disperato che ancor'oggi riesce a trasmettere un'emozione difficile da spiegare razionalmente. Il merito della mostra, che come ha spiegato Margherita Palli ha escluso la Milano del tempo e le reazioni della critica, per concentrarsi sul rapporto fra il soprano e il teatro, è proprio quello di documentare e stimolare la fantasia del visitatore. Un piccolo esempio di tutto questo lo dà una fotografia scattata durante le prove della Vestale dove, seduto in platea, Arturo Toscanini sta confabulando con Maria Callas, bionda per l'occasione, Victor De Sabata e Antonino Votto. Ma purtroppo non si può origliare nel passato.

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Articolo in collaborazione con Fondazione Ferruccio Busoni Gustav Mahler