Claudia Crabuzza, l'immediatezza del catalano

Il giornale della musica presenta i finalisti del Premio Parodi

Articolo
world

Dal 13 al 15 ottobre si tiene a Cagliari la nona edizione del Premio Parodi. È un'edizione di altissimo livello, che conferma come il Parodi si sia ormai imposto come il maggior appuntamento italiano dedicato alla world music: "il giornale della musica" – media partner del Premio – vi presenta gli artisti finalisti.

Claudia Crabuzza ha una lunga storia artistica con i Chichimeca, con cui ha firmato un paio di eccellenti dischi a partire dal 2000. Il suo primo lavoro solista, Com un soldat, pubblicato nell'aprile del 2016 dall'etichetta catalana Microscopi (e da poco anche in Italia da Felmay), la ha confermata come interprete e autrice di brani nella versione della lingua catalana che si parla nella sua Alghero. Le musiche del disco sono di Fabio Sanna, e gli arrangiamenti a cura di Julian Saldarriaga e Dani Ferrer, musicisti della band catalana Love of Lesbian. Il disco si è aggiudicato la Targa Tenco 2016 per il miglior album di cantautore in dialetto.

Vorrei chiederti qualcosa del tuo rapporto con la lingua in cui canti… Per molti il dialetto (o lingua minoritaria che sia) è una conquista dell’età adulta, una sorta di ritorno alle radici. Per altri è lingua “matrìa”, dell’infanzia… Per te come è stato?
«L’algherese l’ho cantato da quando ero bambina, ma non l’ho mai parlato in famiglia. Sono rientrata in contatto con questa lingua quando ho voluto fare un omaggio al più importante autore algherese, Pino Piras, cantando alcune delle sue canzoni in un disco che ho prodotto nel 2012. Mi sono anche occupata di un Premio dedicato a lui che abbiamo portato avanti per alcuni anni ad Alghero, e il cui scopo era di invitare i giovani autori a scrivere in algherese e nelle altre lingue minoritarie. Così mi è venuto il desiderio di scrivere le mie canzoni nel catalano di Alghero e a poco a poco ho messo insieme i pezzi che hanno composto Com un soldat».



In che modo l’algherese è “meglio” di altre lingue? Come si adatta alla musica, come lavorate sulle canzoni, suo suo suono…?
«Sino ad ora avevo scritto in italiano, che è una lingua molto difficile per chi scrive canzoni. L’algherese ha il vantaggio di essere una lingua musicale, con molte tronche, cosa che la fa assomigliare all’inglese nella facilità di scrittura che offre. Fabio Sanna ha lavorato sui miei testi, con armonie molto semplici e leggere che si sono sposate molto facilmente con le parole. Ho limato qua e là, ma è stato tutto un lavoro segnato dall’immediatezza, e sono convinta che sia in gran parte grazie all’uso di questa lingua».

Partecipi al Premio Parodi, nella tua regione, un concorso intestato alla “world music”. Ti riconosci in questa etichetta?
«Ho tanti anni di storia, più di quindici, con i Chichimeca, il mio gruppo storico, con cui abbiamo compiuto un’evoluzione nel suono, ma con cui abbiamo sempre viaggiato nel solco della world music. Oggi mi ci riconosco ancora di più, perché usando l’algherese mi trovo davvero insieme alle altre lingue locali, che sono in grado di mettere sullo stesso piano le musiche e le storie di ogni parte del mondo».

Un esercizio di profezia: come sarà la “world music” fra vent’anni?
«Per come si sta muovendo la musica, e ne è esempio la forza con cui si sta evolvendo un premio simbolo della world music, come il Premio Parodi, direi che stiamo andando incontro a una musica globale che sarà tutta definibile, naturalmente escludendo la musica commerciale, come world music. Con sempre maggiore connessione con il locale ma sempre più aperta al mondo e alle tecnologie nuove. È una tendenza che sta investendo tutti i campi della vita, la rivoluzione glocal, e credo che se il mio disco ha ricevuto la Targa Tenco sia proprio grazie al fatto che in piccolo rappresenta proprio questa tendenza».

Se hai letto questo articolo, ti potrebbero interessare anche

world

Fela. Il mio dio vivente è il documentario di Daniele Vicari che racconta il rapporto fra Fela Kuti e il videoartista romano Michele Avantario

world

Pierpaolo De Sanctis ci racconta la compilation Africamore, che raccoglie il sogno afro degli anni Settanta italiani

world

Intervista a Melaku Belay, danzatore, coreografo e fondatore del centro culturale Fendika