Che fine ha fatto Betty Davis?

Il documentario Betty – They Say I’m Different di Phil Cox racconta la storia e l'arte di Betty Davis, dagli esordi al prematuro ritiro dalle scene

Betty Davis
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Il documentario Betty – They Say I’m Different ripercorre la carriera di Betty Davis, autrice e cantante, un’artista la cui breve attività discografica ha comunque rappresentato un punto di svolta per la black music a seguire.

All’inizio del 1969 la musica di Miles Davis sta attraversando una fase di cambiamento: il suo ultimo album, Filles De Kilimanjaro, sarà visto come un lavoro di transizione dalle precedenti registrazioni acustiche alle successive influenzate dal rock. In copertina c’è una doppia immagine dal tono psichedelico di una ragazza e il brano numero cinque si intitola “Mademoiselle Mabry”: breve ricerca e si scopre che la ragazza è Betty Mabry, non è proprio una sconosciuta, e avrà una forte influenza sullo sviluppo della musica del trombettista di Alton, Illinois.

Modella, disegnatrice di abiti, elemento di spicco della scena del Greenwich Village, Betty scrive canzoni per i Chambers Brothers e per se stessa; nel 1968 firma un contratto con la Columbia e realizza il singolo “Live, Love And Learn”, prodotto dal suo fidanzato del momento, il trombettista sudafricano Hugh Masekela. Vede Davis in concerto, se ne innamora  («A dire il vero mi innamorai prima delle sue eleganti scarpe grigie scamosciate», ricorda con ironia nel documentario) e nel 1969 si celebra il loro matrimonio. Betty stravolge la vita di Miles: lo costringe ad abbandonare gli abiti classici di taglio italiano per indossare quelli disegnati da lei, più marcatamente afo-americani, e lo introduce alla musica di Jimi Hendrix e di Sly Stone, influenzando di fatto la svolta elettrica di “In A Silent Way” e soprattutto di Bitches Brew, il doppio album del 1970 di cui Betty suggerisce il titolo.

Tra il 1968 e il 1969 Betty incide nove canzoni negli studi della Columbia: le prime sei sono prodotte da Miles e Teo Macero e compaiono musicisti del calibro di Harvey Brooks, Billy Cox, Herbie Hancock, John McLaughlin, Mitch Mitchell, Wayne Shorter, Larry Young e Hugh Masekela. Rimarranno in gran parte inedite fino al 2016 quando la meritoria etichetta Light In The Attic le raccoglierà nell’album Betty Davis – The Columbia Years 1968-1969.

Betty Davis

Miles Davis è gelosissimo, non vede di buon occhio l’amicizia della moglie con Hendrix, teme che un eventuale successo di Betty possa allontanarla da lui, la picchia: com’è logico, il matrimonio finisce, anche se Betty continua a usare il cognome Davis per tutti gli anni Settanta.

Alla fine, la carriera discografica di Betty Davis si concentra in tre anni, dal 1973 al 1975: tre dischi, un’immagine pubblica aggressiva che non lascia nulla all’immaginazione, testi espliciti, e sotto un funk ruvido e selvaggio che non conosce la parola “stanchezza”. Anni dopo dirà: «Volevo che la mia musica fosse presa sul serio, non volevo diventare una Yoko Ono o una Linda McCartney». Però all’epoca la sua musica non sfonda, è troppo scioccante, è troppo hardcore, mette in soggezione il pubblico maschile, è troppo avanti per il suo tempo, è eccessiva per una donna, per di più nera. Le case discografiche le voltano le spalle, forse spinte anche dalle pressioni dell’ex-marito; è il 1979 e Betty decide di ritirarsi a vita privata, scompare.

Il grande merito del regista Phil Cox è di essere riuscito a scovarla a Pittsburgh, e di averla convinta a raccontare la sua storia di fronte alla cinepresa, senza peraltro mai riprenderne il volto. È una Betty Davis apparentemente pacificata con se stessa, che è riuscita ad accettare la perdita del padre, quella perdita che ha minato la sua sicurezza e che ha avuto pesanti ripercussioni sulla sua carriera.

Il documentario dura 52 minuti ed è ricco di immagini di quell’epoca in cui una sedicenne, nata a Durham, North Carolina, e trasferitasi con la famiglia a Pittsburgh, arriva a New York e in breve tempo diventa «Madonna e Prince prima di Madonna e Prince», come disse Miles Davis, non proprio uno qualunque.

Betty – They Say I’m Different sarà proiettato sabato 3 febbraio alle 17.45 nella Sala 3 del Cinema Massimo a Torino, all’interno di SEEYOUSOUND – International Music Film Festival.

Il giornale della musica è media partner di SEEYOUSOUND International Music Film Festival.