Bodyterranean, Mediterraneo senza strumenti

Dalla Grecia alla Puglia, Simone Mongelli racconta il suo progetto di body music

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Si fa presto a dire Mediterraneo. Quello del percussionista Simone Mongelli ha un occhio di riguardo per le tradizioni coreutiche della sponda settentrionale ed, in particolare, per la regione settentrionale della Grecia: tutto questo è il disco Bodyterranean. Music without instruments (Autodia/Emse; disponibile qui, oltre che su iTunes e Spotify).

Residente da anni in Grecia, Mongelli ha colto l’occasione di queste incisioni per rinnovare o avviare collaborazioni con alcuni dei migliori artisti ellenici: i due gruppi vocali di Salonicco, Pleiades e Stringless, le cantanti Areti Ketime e Maria Koti, il duo di beat-box Word of Mouth – ateniesi come l’altra collaborazione eccellente, l'ensemble a cappella Sanades. E c’è spazio anche per il clarinettista Manos Achalinotopoulos, ma attenzione: qui il clarinetto non c’è, e Achalinotopoulos fa ricorso al suo canto per le melodie che interpreta. Sì, perché l’intero lavoro discografico ha come filo conduttore il far musica col proprio corpo: tutta la musica, ritmi, armonie e melodie.

Non a caso, gli altri ospiti che interagiscono con Mongelli nel corso degli undici brani sono fra i migliori musicisti di body music a livello internazionale: lo specialista di poliritmie afrocubane Max Pollak, Antwan Davis, dal gruppo Molodi, le voci di Bryan Dyer e del cubano Raùl Cabrera.

Il repertorio e la trama mediterranea sono completati da due canti rebètika, un brano cretese, uno dal Gargano e uno dal Salento. Quest’ultima, la "Tarantella del Gargan"o, permette di apprezzare l’abilità di arrangiatore di Mongelli rispetto ad un tema molto conosciuto in Italia: lasciata al bel timbro e alla voce bassa di Brian Dyer il compito di offrire agli altri musicisti un ancoraggio sicuro, la melodia mette in evidenza le dinamiche offerte dalla voce di Alkis Alevisos e dell’ ensemble femminile Pleiades, mentre lo spazio solista sollecita il riuscito dialogo fra le percussioni corporee di Antwan Davis e dello stesso Mongelli.

Completa il lavoro un ricco libretto in inglese che con alcune foto offre anche alcuni scorci dei momenti di presa del suono in studio o, meglio, nei tre studi di registrazione: ad Atene, Salonicco e Terni. Il magistrale lavoro di missaggio è di Aris Delitheos.

Qui di seguito abbiamo chiesto a Simone Mongelli di raccontarci il suo lavoro in prima persona.

Quando hai cominciato ad interessarti alla body music e come hai sviluppato il tuo repertorio?

«Innanzitutto va detto che mi sono avvicinato alla body music da musicista, da percussionista. Il primo contatto personale, dal vivo, è stato attraverso alcuni laboratori ad Atene, nel 2007, con il grande Max Pollak, e due artiste che allora facevano parte degli Stomp, Leela Petronio da Parigi e Simone Clarke da Londra. Per me è stato poi naturale continuare il mio percorso artistico incorporando tra i miei strumenti anche il corpo stesso. Da sempre sono interessato alle musiche e agli strumenti tradizionali, soprattutto del Mediterraneo, e "scoprire" che si può usare il proprio corpo per fare musica è stato innanzitutto un modo per ampliare la gamma di suoni e timbri con cui lavorare, con cui continuare la mia ricerca. Piano piano, poi, è stato fantastico rendersi conto di quanto sia importante il corpo per la percezione e comprensione del ritmo, che sostanzialmente nasce nel e dal corpo, e solo successivamente diventa intelligibile».

Cosa caratterizza la dimensione "mediterranea" di questo lavoro?

«I brani del disco hanno tutti una stretta relazione con la tradizione greca, e in parte con quella del Sud Italia. Si tratta infatti di rielaborazioni di canti e brani strumentali della tradizione ellenica, nonché di un paio di canti rebètika, cioè di un importantissimo genere di musica popolare, sviluppatosi nelle grandi città greche agli inizi del secolo scorso. A completare il lavoro, poi, la mia reinterpretazione di due noti canti della tradizione pugliese. In alcuni casi il materiale tradizionale è reso più fedelmente, pur se esclusivamente con suoni del corpo, in altri casi funge da semplice pretesto, da materiale grezzo per creazioni più personali ed originali. Body music con radici mediterranee, quindi Body-terranean...

Come nascono gli arrangiamenti e come hai scelto gli artisti con cui collaborare?

«Gli arrangiamenti sono, come accennavo, la continuazione di una ricerca sulla tradizione che porto avanti sin da quando ho iniziato a cercare la mia strada nella musica. Un materiale che dà identità e unità di ispirazione al mio progetto artistico, e che ha il grande vantaggio di essere "puro", non contaminato da logiche di mercato; musiche e testi che rispondono a un bisogno primario di espressione emotiva, di comunicazione, che è esattamente ciò che per me è importante nella creazione non solo musicale, ma artistica in generale. Gli artisti che hanno collaborato alle registrazioni sono fondamentalmente musicisti che ammiro e stimo per il loro contributo nell'ambito della musica e del canto tradizionale in Grecia: vorrei sottolineare per esempio la partecipazione, oltre a vari vocalist di calibro internazionale come Areti Ketime e Maria Koti, del grande clarinettista Manos Achalinotopoulos, che nel mio lavoro ha interpretato perfettamente, con la sua voce, alcune melodie strumentali tradizionali della Grecia settentrionale, usando in modo magistrale le sue competenze stilistiche: il medesimo corpo che muove le dita sul clarinetto, e che usa la voce per rendere le stesse inflessioni melodiche, perché la musica si fa con il corpo»… 

«Con il mio album ho anche avuto l'ambizione di riunire per la prima volta, almeno in parte, artisti della scena "senza strumenti" della musica greca, per questo fra i miei più graditi ospiti ci sono il duo di beat-box ateniese Word of Mouth" alcuni membri dell'ensemble a cappella Sanades, sempre della capitale, nonché due gruppi vocali di Salonicco, Pleiades e Stringless. Mi hanno onorato con il loro contributo anche alcuni amici della grande famiglia della body music, come Max Pollak (un cerchio che si chiude?), Antwan Davis, Bryan Dyer e Raùl Cabrera. Doveroso l'accenno alla partecipazione di Thanos Daskalopoulos, con il quale il percorso era cominciato, già dal 2008, quando fondammo Kantu Korpu, il primo ensemble greco di body music».

Come si inserisce il tuo progetto nella scena internazionale della body music? 

«Credo che sia importante, in una scena internazionale ed "internazionalista" come è quella della body music, avere una voce originale e riconoscibile, e credo che in questo la scelta di usare materiale tradizionale delle mie "due patrie", nel cuore del Mediterraneo, sia fondamentale. Questo permette di dare al linguaggio che ho sviluppato negli anni una identità e un carattere molto personali, e a me di continuare un lavoro di ricerca in cui credo e mi riconosco. Per di più, vorrei sottolineare quanto importante sia per me, all'interno di questa scena, avere una proposta artistica che, oltre all'idea dell'uso del corpo come strumento musicale, abbia anche un interesse artistico in sé. Il corpo è appunto uno strumento, molto affascinante da esplorare, ma è fondamentale anche il progetto artistico, e nel mio caso anche culturale, in cui lo si usa, il suo valore e il percorso di ricerca in cui si inserisce. Penso con ammirazione alla strada indicataci da un grande personaggio come Demetrio Stratos, anche lui per coincidenza vissuto tra Italia e Grecia, che ha fatto della sua ricerca sulla vocalità, pura musica corporale, proprio un importantissimo progetto artistico e culturale».

«Anche per questo ho voluto registrare un disco, oltre a realizzare spettacoli dal vivo: sono convinto che si possa usare il corpo come qualsiasi altro strumento, per elaborare un progetto che sia musicalmente interessante, indipendentemente dall'energia che indubbiamente aggiungono la performance dal vivo e la dimensione visiva. E questo spero che sia Bodyterranean».

Ci saranno occasioni per ascoltare questo repertorio dal vivo? E per imparare questo modo di suonare con il corpo?

«Sto lavorando alla realizzazione di uno spettacolo basato su questo materiale, che fungerà in pratica anche da presentazione del disco. Uno spettacolo narrativo, ricco di suggestioni, che debutterà, come è giusto che sia, ad Atene, nell'ambito dell'IBMF (International Body Music Festival) mini-fest del prossimo ottobre. Un'occasione anche per conoscere dal vivo sia il mio metodo creativo, sia il linguaggio corporale che ho sviluppato negli anni, grazie alle lezioni che si terranno all'interno del festival. Intanto continuo ad essere attivo in laboratori e seminari anche al di fuori del festival, in Grecia e non solo, in varie occasioni. Ci si può tenere informati attraverso i miei siti e canali social ufficiali».

Com'è cambiato fare musica in Grecia in questi ultimi anni e cosa ti auguri per il futuro? 

«Inutile negarlo, il periodo che stiamo attraversando è molto difficile. E la cosa più negativa della situazione attuale è che quello che succederà dipende solo in minima parte da noi, da chi vive in Grecia. Quello che mi auguro è che si molli la presa, si smettano di sperimentare su persone vere delle teorie e tecniche di politica economica e finanziaria che si sono dimostrate fallimentari, che si lasci a un popolo e ad una nazione, che hanno mostrato più volte la loro saggezza, di continuare a gestire la propria vita e il proprio futuro, nel bene e nel male».

«Mi viene in mente il periodo in cui volli fuggire da Milano e trasferirmi in Grecia, con l'idea di tornare un po' indietro nel tempo, dato che la strada che avevamo preso mi sembrava andare verso il peggio. Ecco, mi auguro che si possa tornare di nuovo un po' indietro, a quando la piccola, isolata Grecia era una specie di paradiso: non ricco, non ambizioso, non assetato di conquiste e di globalizzazione, ma sostanzialmente soddisfatto dell'austerità (quella vera) di un modo di vivere più semplice, più vero, più indipendente e più libero. È in un posto così che mi immagino siano nate la filosofia, le idee di democrazia e di cittadinanza. Vorrei che nello stesso posto non venissero anche sepolte…».

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