La Serenissima a Utrecht

Dal 26 agosto il Festival Oude Muziek

Articolo
classica


Il leone alato di San Marco campeggia sulla copertina del programma di Oude Muziek, il celebre festival di musica antica di Utrecht che quest'anno è dedicato a Venezia. Dal 26 agosto al 4 settembre 2016 in numerosi luoghi della città olandese risuoneranno le musiche dei compositori che dal Rinascimento al Barocco hanno dato lustro alla città lagunare, a partire dalle campane del celebre Carillon di Utrecht, posto sulla Torre del Duomo. Da qui partirà il segnale d'avvio del Festival dato dalla carilloneur della città Malgosia Fiebig (nella foto piccola), che nei giorni seguenti, alternandosi con alcuni colleghi di altre città, eseguirà trascrizioni di composizioni dei più importanti musicisti legati alla storia di Venezia. Anche le principali ore della giornata saranno scandite da rintocchi modulati in accordo con il tema del Festival, e chi vorrà conoscere la storia di Jacob van Eyck, il celebre campanaro, flautista e compositore olandese del Seicento, potrà partecipare ad un visita guidata nei luoghi della sua vita, e poi assistere nell’ultimo giorno del Festival alla performance audio-teatrale di Erik Bosgraaf, Jorrit Tamminga, e DJ DNA dedicata alle sue musiche.

I nomi degli autori in maggiore evidenza sono quelli di Willaert, Cavalli, Vivaldi e Galuppi, ma dall'insieme del programma è possibile ricostruire l'intreccio di influenze e scambi della scuola veneziana con il resto dell'Europa. Ad esempio nei tre concerti di Gli Angeli Genève (nella foto grande), il gruppo residente di questa edizione diretto da Stephan MacLeod, verrà messa in risalto la figura di Johann Rosenmüller, il compositore, trombonista e organista tedesco del Seicento che fu attivo per circa trent'anni a Venezia, nella Basilica di San Marco e nell'Ospedale della Pietà, e che è considerato uno dei divulgatori dello stile italiano nella Germania del Nord.

Cosa vi ha spinti a scegliere le musiche di Rosenmüller?
MacLeod: «Ho iniziato a cantarlo da giovane, con Cantus Cölln, quando le sue composizioni erano ancora inedite, e la straordinaria qualità della sua musica mi colpì molto. Quando è arrivata la richiesta dei concerti per il Festival di Utrecht avevo sul tavolo l’edizione delle sue opere e ho subito pensato di proporlo perché è un musicista profondamente legato a Venezia, e noi siamo ritenuti degli specialisti della musica tedesca del Seicento».

Non sappiamo molto di questo compositore.
MacLeod: «Ci sono molti musicisti importanti i cui nomi non risaltano abbastanza nella storia della musica, e che meritano più attenzione. Rosenmüller era organista della Chiesa di San Luca a Lipsia ed era destinato a divenire Kantor della Thomasschule ma a causa dello scandalo dell’accusa di pederastia venne imprigionato, e passò una parte della sua vita a cercare di nascondere le proprie tracce. Stabilendosi a Venezia venne in contatto diretto con la cultura musicale italiana, che contribuì a diffondere oltralpe e grazie al suo talento la sua reputazione di compositore crebbe al punto da essere definito in Germania l’Alpha & Omega Musicorum, e il suo stile musicale divenne sempre più veneziano».

Rosenmüller sarà protagonista di tutti i concerti che presenterete durante il Festival.
MacLeod: «Nel primo eseguiremo i grandi salmi, composti a Venezia ma probabilmente destinati alla corte di Hanovre o Wolfenbüttel, nel secondo quelli più intimi, ma non meno interessanti, accostati ad una composizione di Antonio Giovanni Rigatti, e nel terzo alcune sue cantate per due bassi assieme a quelle di altri compositori dell’epoca».

Al compositore franco fiammingo Adrian Willaert, maestro di cappella della Basilica di San Marco e considerato il capostipite della scuola veneziana, saranno dedicati i concerti di quattro ensembles: La Colombina, Officium, Cinquecento e Cappella Pratensis. Quest’ultimo, diretto da Stratton Bull, si distingue per la scelta di eseguire il repertorio della polifonia vocale direttamente da copie delle fonti originali, senza la mediazione delle trascrizioni in notazione moderna.

Non è piuttosto raro poter ascoltare le musiche di Willaert?
Bull: «Willaert è uno dei compositori di cui tutti parlano ma pochi lo eseguono. Dal punto di vista della storia della musica è molto importante, per via della connessione tra la polifonia franco-fiamminga e la cultura musicale italiana. Il suo è uno stile difficile e molto sottile, e forse si potrebbe dire meno attraente rispetto alla musica fastosa dei Gabrieli o a quella dei madrigalisti. Fa parte di quei compositori vissuti tra due epoche, come ad esempio Clemens non Papa, Gombert, Crecquillon, ma era molto famoso e ammirato. Un mio amico paragona i suoi lavori all'arte degli arazzi, poiché tutte le parti cantano sempre procedendo attraverso costanti cambiamenti progressivi. Si tratta di una musica molto densa e di grande bellezza, ma riservata a chi poteva comprenderla, ossia ascoltatori raffinati, iniziati, soprattutto nella dimensione privata delle corti e dei circoli artistici. All’epoca era chiamato il Divino Adriano e possiamo immaginarlo circondato dai suoi allievi de Rore, Marenzio e Zarlino, nei cui scritti c’è tutta la sapienza del Maestro. Non era solo il conoscitore delle regole ma anche un artista sopraffino, il cui mondo musicale è molto affascinante».

Nel programma del Festival sono presenti molte iniziative che consentono di conoscere e approfondire il contesto storico nel quale è fiorita l'arte musicale a Venezia. Fra queste ci sono due diverse tipologie di conferenze, quelle brevi e originali della serie Eventalks svolte nel tardo pomeriggio, e quelle più tradizionali della Summer School del mattino. Le prime prevedono anche delle brevi esecuzioni musicali, affidate quest'anno alla pianista Olga Pashchenko, che è l’altra artista residente di questa edizione. Il ciclo delle Eventalks sarà inaugurato dal prof. Gerald Hendrix, italianista dell'Università di Utrecht, e attuale direttore del Reale Istituto Neerlandese di Roma, che parlerà del concetto di libertà nel contesto della storia di Venezia – sia in senso, politico, che personale e artistico – da cui si è sviluppata la straordinaria fioritura della pittura, della musica e del teatro.

Nell'ambito del programma della Summer School il nome di Olivier Lexa, regista, scrittore e direttore del Venetian Centre for Baroque Music, figura per due giorni di seguito, e nelle sue lezioni parlerà di Francesco Cavalli, al quale ha dedicato una biografia pubblicata nel 2014.
Lexa: «Stiamo assistendo ad un vero e proprio boom della riscoperta del compositore veneziano di adozione, e possiamo distinguere tre fasi di questo recente revival. La prima legata a Raymond Leppard, la seconda frutto del lavoro di Réné Jacobs, e la terza iniziata con l'introduzione del nome di Cavalli nei cartelloni dei più grandi festival, come Aix e Glyndebourne, e teatri d'opera come Parigi e Sidney. Oggi le sue opere sono eseguite anche al di fuori dei festival specializzati nella musica antica e in diversi paesi. Per esempio io ho curato la regia de L'Eritrea per il Teatro La Fenice di Venezia, e de L'Oristeo a Marsiglia».

Cavalli non era il suo vero nome? Lexa: «Oggi conosciamo la sua storia e la dimensione personale dell'artista. Era un uomo molto ambizioso, nato in una famiglia molto povera, che ha avuto la fortuna di trovare il sostegno di un nobile che lo portò giovanissimo a Venezia e del quale assunse il cognome. Poi grazie anche al matrimonio con una ricchissima vedova, brava musicista, Cavalli riuscì a compiere una straordinaria ascesa sociale, ed è stato il primo compositore veneziano a potersi lanciare nell'avventura dell'opera pubblica, nel 1639 con Gli amori di Apollo e Dafne. All’epoca era più famoso di Monteverdi: basta pensare al fatto che venne invitato da Mazarino e da Luigi XIV a comporre musiche per il matrimonio del sovrano, e che abbiamo scoperto in Inghilterra il manoscritto della sua Erismena, alla quale certamente si ispirò Purcell».

Durante il Festival, come negli scorsi anni, si svolgerà un symposium internazionale che per l'occasione sarà dedicato al tema della cultura musicale ebraica, intitolato "Reiventing a usarle past”. Il cosmopolitismo di Venezia era dato anche dalla presenza nel Ghetto di ebrei provenienti da Spagna, Portogallo, Turchia, Grecia, e altri luoghi, e la mancanza o la scarsità di fonti con notazione musicale assimila la musica antica ebraica all'idea stessa di alterità, e pone il problema della autenticità a fronte di una trasmissione orale dei repertori. La discussione teorica fra studiosi che si svolgerà fra il 30 e il 31 agosto troverà forse delle risposte nel programma del concerto dell'ensemble Lucidarium, guidato da Avery Gosfield, che è anche la curatrice del Symposium. Nella giornata del 1 settembre, il loro concerto, intitolato Suoni dalla Venezia di Shylock contribuirà a ricordare i cinquecento anni del Ghetto di Venezia.
Gosfield: «Nonostante l’intento repressivo della segregazione, il Ghetto era chiuso solo durante la notte, ed era un luogo dove la gente andava e veniva e nel quale si ascoltavano lingue e musiche diverse, e si mescolavano gli odori delle cucine di diverse parti del Mediterraneo. Ma il repertorio della musica ebraica dell’epoca è problematico, perché si tratta essenzialmente di poesia cantata priva di notazione. Prima di Salomone Rossi, abbiamo solo la fonte musicale di Obadiah il Proselito, un cristiano convertito all’ebraismo. Era musica di tradizione orale, e la base della musica di tutti i giorni era quella condivisa con i cristiani. La trasmissione del canto era fatta attraverso i testi con melodie che si conoscevano a memoria. Le forme poetiche erano ottava rima, quartina, sonetto, e una parte di questi testi in lingua italiana sono stati trascritti con l'alfabeto ebraico. Intoneremo anche un canto che è metà in catalano e metà in ebraico, ma interamente scritto con l'alfabeto ebraico».

Come vi regolate con i testi originariamente privi di notazione musicale e in che modo procedete con il lavoro di ricostruzione melodica?
Gosfield: «Possiamo parlare di una riproposizione. Partiamo dalla analisi della forma poetica e poi e andiamo a cercare nelle fonti musicali qualcosa di simile dello stesso periodo, il Cinquecento. Ad esempio nei libri di frottole stampate da Ottaviano Petrucci a Venezia, studiati da Francis Biggi e Gloria Moretti. Naturalmente facciamo riferimento alla tradizione ebraica, e allo studio che Enrico Fink ha compiuto sulla tradizione e liturgica e paraliturgica italiana. Come esempio possiamo citare Elia Levita, traduttore e adattatore in ottava rima di un poema cavalleresco anglo-normanno noto come Bovo-Bukh, che visse a lungo a Venezia. Una sua canzone nella quale si parla dell’incendio scoppiato attorno al 1510, è basata sulla melodia del piyyut Tzur Mishelo, trascritta da musicisti cristiani».

Impossibile render conto di tutto il fittissimo programma del Festival che può essere consultato sulla homepage di Oude Muziek ( http://oudemuziek.nl/home), dove sono stati caricati dei bizzarri tutorials sulla musica antica di cui è protagonista Marco Mencoboni, clavicembalista e direttore di Cantar Lontano, con il quale presenterà Il Combattimento di Tancredi e Clorinda di Monteverdi.

Come sarà il vostro canto guerriero?
Mencoboni: «Privo di qualunque ricerca di effetti speciali e molto vicino a come Monteverdi deve averlo pensato. L’attenzione si concentrerà sull’importanza del testo, e sarà una esecuzione molto fedele alla partitura, ossia alla stampa originale, rispettando i segni mensurali indicati dall’autore, e tralasciando le edizioni moderne».

Non mancheranno neppure Le Quattro Stagioni di Vivaldi, interpretate da Ars Antiqua Austria diretto da Gunar Letzbor, che nel programma vengono annunciate “come non le avete mai ascoltate…”, e i pots-pourris delle star di parata di tanti festival di musica antica, Pluhar e Savall. L’Arpeggiata eseguirà una selezione di arie dalle opere di Cavalli intitolata L’Amore innamorato , ed Hesperion XXI con Le Concert des Nations e La Capella Reial de Catalunya l’altisonante programma 1000 years of Venice / 75 years of Jordi Savall . Ipse dixit.

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