Un derby Svezia-Norvegia

Nuove traiettorie e nuovi pubblici del jazz: Fire! vs. Food in Veneto

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Il weekend appena trascorso offriva agli appassionati di sonorità scandinave un interessante “derby” Svezia – Norvegia, suddiviso tra Padova e Venezia.

Nella città del Santo, all’interno del notevole cartellone allestito dal Centro d’Arte per celebrare il settantesimo anno di attività, erano di scena sabato i Fire! di Mats Gustafsson, mentre al Teatrino di Palazzo Grassi di Venezia una piovosa domenica pomeriggio ha battezzato con il concerto del duo Food la rassegna Nordic Frames organizzata da NuFest/Veneto Jazz.

Un’occasione non solo per ascoltare due formazioni molto differenti, ma anche per qualche riflessione ulteriore su quello che si muove nel jazz nordico e – ancor più – nei suoi dintorni.

Svedesi i Fire!, norvegesi i Food (che sono nati come quartetto e che ora sono un duo composto dal batterista Thomas Strønen e dal sassofonista britannico Iain Ballamy). Rumorosi e jazz-core i primi, rarefatti e ambient i secondi. Accomunati dal fatto di avere attirato un bel po’ di pubblico giovane che abitualmente ai concerti di “jazz” non si vede tanto.

Al Cinema Teatro Torresino di Padova resta fuori più di qualcuno: negli ultimi due anni la musica “dritta alle viscere” di Gustafsson e soci (sia nella versione in trio, sia in quella massimalista della Fire! Orchestra) si è guadagnata i favori di un sempre crescente numero di appassionati, che sa di poter trovare, specialmente dal vivo, un’esperienza sonora di grande impatto fisico.

È da poco uscito il loro nuovo disco, She Sleeps, She Sleeps, ma il repertorio spazia anche verso temi dell’orchestra o di lavori precedenti, accomunati da un tribalismo ipnotico e scuro condotto su lunghi riff all’unisono tra il sax baritono di Gustafsson e il basso di Johan Berthling.



Il sassofonista soffia anche l’anima dentro lo strumento (a fine concerto arriva quasi sfinito) per tenere testa al rombo che il basso e la batteria di Andreas Werliin conducono senza fare prigionieri. La musica sembra una processione di dèi norreni con pesanti armature, l’urlo free ayleriano è a volte quasi un dettaglio, sfugge come un lamento squarciato dall’iterazione, il mesmerismo funziona e il pubblico risponde con grandissimo entusiasmo (e molta generosità anche al banchetto dei dischi post-concerto, rapidamente e golosamente “saccheggiato”).

C’è un buon pubblico anche a Venezia, nonostante condizioni meteo che indurrebbero più a guardarsi un film sotto un plaid sul divano.
Un piacevole aperitivo dj set e la presentazione del libro di Luca Vitali Suoni del Nord precedono il concerto dei Food. Come si diceva, siamo agli antipodi sonori rispetto alla serata svedese del giorno prima.

Tra percussioni e elettronica Strønen è un continuo vulcano di invenzioni timbriche prima ancora che ritmiche, e su questi scenari Ballamy dispiega frasi semplici, cariche di delay, sovrapposizioni, echi, fantasmi sonori.
Sono sonorità, quelle dei Food, che facilmente evocano quel “suono nordico” fatto di ghiacci, di quartomondismo hasselliano, di spaziosi silenzi (non a caso, dopo anni alla Rune Grammofon, i Food ora incidono per la ECM) e i visual che accompagnano il concerto (non bellissimi a dire il vero) richiamano per lunghi tratti la natura in un terso bianco e nero.



È un buon concerto, quello dei Food: se nella formazione in quartetto (c’erano al tempo Arve Henriksen e Mats Eilertsen) delle origini si scorgevano forze, anche centrifughe, che spostavano i piani percettivi, nell’attuale formula del duo si sconta forse un po’ un equilibrio imperfetto tra l’impostazione “ambient” di fondo e i momenti più sperimentali. Questi ultimi godono certo della grande fantasia di Strønen, ma sembrano a volte un po’ autocompiaciuti e casuali nell’architettura complessiva.

Il pubblico ha comunque giustamente apprezzato la performance dei due musicisti (il prossimo appuntamento della rassegna è con Bugge Wesseltoft & Christian Prommer) e, come dicevamo all’inizio, era formato anche da molte facce giovani. Un pubblico che trova in queste proposte un’esperienza sonora e identitaria molto distante da quella che più tradizionalmente è associata alla fruizione del jazz, e non è un caso che entrambe le rassegne (quella di Padova e quella di Venezia) evitino di usare questo termine per le loro proposte.

Difficilmente (o con un certo disagio), a partire dagli elementi musicali e espressivi, si potrebbe infatti rubricare come “jazz” la musica dei Fire! o dei Food, sebbene rimangano forti i legami con una tradizione, con una pratica, con una memoria stratificata di ascolti, con un pubblico potenziale che si fa incuriosire da un certo tipo di traiettorie.

I puristi storcono il naso, a volte non si capisce se per il fatto che queste musiche non piacciono loro (cosa assolutamente legittima) o anche un po’ perché sotto sotto amerebbero assai che anche cose "più jazz” stimolassero nuovi pubblici al di là dei nomi più famosi.

Ovviamente la musica che viene dalla Scandinavia è assai più variegata nelle intenzioni e negli esiti, ma questa “doppietta” in terra veneta racconta un desiderio sempre vibrante da parte di comunità di ascoltatori nei confronti di suoni che, nell’ipnosi tribale del rumore o nell’incanto un po’ amniotico dei dettagli del silenzio, raccontino l’urgenza del vivere oggi.

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