Joanna d'arpa

Le canzoni fuori dal tempo della signora Newsom

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Joanna Newsom
Divers
Drag City
Se la si ascoltasse senza sapere che appartiene a un disco edito in questi giorni, la musica di Divers - quarto album della trentatreenne artista californiana, distante cinque anni dal precedente e monumentale Have One on Me - sarebbe difficile da collocare cronologicamente. A volte ha toni barocchi, quando non addirittura rinascimentali, benché sia farina del sacco di un personaggio immerso nella contemporaneità. Pressoché diva alternativa, anzi, dopo essersi affacciata anche al cinema in veste di protagonista di un cameo e narratrice in Vizio di forma di Paul Thomas Anderson, che restituisce il favore dirigendo il video di "Saponanikan": ballata dall'architettura complessa, che mescola vaudeville e accenti cameristici, intitolata col nome di un antico insediamento nativo corrispondente grosso modo all'attuale geografia del Greenwich Village newyorkese. Basterebbe da sola a definire l'ambizione che ispira l'opera, sia in senso strettamente musicale - lo testimonia l'ampiezza dell'armamentario strumentale, dove convivono bouzouki e moog, clavicembalo elettrico e trombone - sia sul piano della poetica, che è insieme allegorica ed enigmaticamente surreale.



"Quasi un disco a soggetto", l'ha descritto l'autrice, ma scoprire quale sia non è facile: probabilmente il Tempo, per quanto ricorre nei versi delle canzoni, o forse l'Amore. Magari entrambi, visto che a un certo punto Newsom canta: "L'amore non è sintomo del tempo / è il tempo a essere sintomo dell'amore". Accade all'epilogo, nell'intensa solennità di "Time as a Symptom", fra richiami o cinguettii di volatili e le folate orchestrali della Filarmonica di Praga, arrangiate da David Longstreth dei Dirty Projectors. È viceversa il neoclassico Nico Muhly a svolgere quel compito nell'iniziale "Anedoctes": un madrigale che a tratti suona come una versione "anticata" di Kate Bush o Björk. L'analogia più pertinente - per via della voce miagolante - è però con Karen Dalton, la "Billie Holiday bianca", cimentatasi anch'ella molte lune fa con "Same Old Man" (variazione americana dello standard folk britannico "The Old Man at the Mill"), qui esposto nella sua bellezza austera e malinconica. Affrontato con pazienza e attenzione, Divers mostra un'infinità di pregi - dalla melodia alata e i gorgheggi da soprano di "A Pin-Light Bent" al fascino spettrale di "The Things I Say" - e attesta il valore di Joanna Newsom: molto più della "cantautrice con l'arpa" che fece notizia all'esordio, undici anni or sono.

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