Oggetti sonori vaganti

Nicola Fazzini parla del suo Random²: 46 tracce di sax "ricomponibili"

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jazz

Durante il percorso di approccio a Random² (nusica.org), lavoro in solo del sassofonista Nicola Fazzini, aleggia il dubbio che questo venga stimolato più da ciò che sta dietro alla musica, dalla sua filosofia programmatica, che dai suoi aspetti interpretativi. Proviamo a riordinare le idee. Un lavoro per sax solo non sorprende più, almeno dal braxtoniano For alto (1969). I concetti di alea, casualità, quadrato magico, zen, di cageana memoria risalgono al primo dopoguerra. I surrealisti francesi sparpagliavano parole per costruire poesie (il primo manifesto surrealista è del 1924). Insomma, Fazzini non ha inventato proprio nulla, riesce però ad attualizzare, personalizzare con coraggio queste storie creative appena evocate immergendole nell'era digitale. La combinazione casuale dei 46 oggetti sonori realizzata in fase di masterizzazione dalla funzione random fa sì che la mia copia - la n. 13 - sia unica, diversa dalle altre. Non solo: nelle avvertenze per l'uso si consiglia dopo il primo ascolto di re-inserire il cd premendo la funzione random. Un random di random. Queste scelte scombinano qualche certezza, l'idea stessa del senso della musica come della sua fruizione. Ne parliamo con il musicista.

Come e quando nasce l'idea di Random²?
«L'idea originaria risale a cinque, sei anni fa circa. Discutendo tra colleghi riguardo al significato e alla funzione dei cd oggi mi venne l'idea di registrare una musica che si potesse organizzare per "pannelli mobili sonori". Come spesso accade molti progetti finiscono in un cassetto, ma alcuni poi vengono ripresi e rielaborati, a distanza di mesi e anni si affinano tecniche, idee; un anno fa ho cominciato a scrivere la musica, studiarla e parallelamente a pensare come realizzare tecnicamente l'effetto di rimescolamento casuale».



I 46 oggetti sonori sono stati concepiti compatibili tra loro comunque o affidi alle collisioni casuali uno sviluppo creativo fuori dal tuo controllo?
«Gli elementi hanno alcune matrici e caratteristiche comuni che dovrebbero garantire una certa omogeneità. Ovvio che le possibilità sono tante, 46 fattoriale, un numero insondabile, per cui inevitabilmente c'è un ampio margine di imprevedibilità che non mi dispiace affatto. L'idea che in qualche modo la musica possa svilupparsi in modo indipendente dalla volontà del compositore è affascinante, mi dà una sensazione di vitalità e di freschezza, di un'irripetibilità in qualche modo analoga a quella dell'improvvisazione, anche se raggiunta per via diversa».

Nel lavoro evidenzi anche un tema centrale della musica del secondo Novecento, quello del tempo. Le tue composizioni sono brevissime. Questa scelta è risultata indispensabile per costruire il puzzle incomponibile di Random²? «Sì, ho riflettuto a lungo sul numero dei brani, sulla loro durata e credo che avrei potuto realizzare il lavoro in molti modi diversi, ad esempio con meno tracce un po' più lunghe, o senza pause tra una traccia e l'altra. Però mi sono fatto guidare giorno dopo giorno dal materiale musicale che nella fase compositiva si sviluppava spontaneamente senza pormi a priori dei limiti, in questo credo di aver seguito un istinto jazzistico, in un lavoro che con il jazz e l'improvvisazione forse ha poco a che fare».

Nonostante l'ideazione di Random² sia aderente ad un'estetica contemporanea, tu ti muovi con le libertà del jazzista. Due mondi sempre più limitrofi?
«Credo che jazz e contemporanea abbiano dal punto di vista creativo molti punti di congiunzione e di interesse reciproco, perché ci si riconosce nella ricerca e nello spirito creativo. La domanda della musica di oggi non mi sembra essere il "che cosa" si suona e in quale stile, ma il "perché" e il "come" si suona qualcosa. La musica attrae per il pensiero che la anima e non a priori per genere o provenienza geografica. In questo senso credo che il digitale e la "musica liquida" abbiano aiutato ad abbattere alcune barriere».

Il tuo lavoro mette in discussione, oltre il ruolo del compositore, anche il modo di fruire la musica.
«Mi piacerebbe molto che fosse così. In fondo il disco come susseguirsi ordinato di sette, otto canzoni era una necessità tecnica determinata da un lato dai limiti del contenitore, del cd, dall'altra dalle regole del mercato discografico. La "musica liquida", digitale, ha messo in discussione questo e se da un lato ha messo in crisi in parte il mercato discografico come lo conosciamo, dall'altro ha forse liberato nuove potenzialità creative ed espressive. Anche sulla musica dal vivo sarebbe bello fare un'analoga riflessione su luoghi e modalità di fruizione nuove».

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