Vita e miracoli dei delfini occitani

La storia di Lou Dalfin in un libro di Paolo Ferrari: le prima pagine in anteprima

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I Lou Dalfin sono abituati a festeggiare: collezionano anniversari quasi come collezionano i concerti (migliaia, davvero, in tutta Europa a partire da quel 1982 che ne vide la nascita discografica). Oggi la musica occitana re-inventata da Sergio Berardo vanta innumerevoli tentativi di imitazione, e una schiera di figli legittimi e illegittimi. In occasione del Salone del Libro di Torino, la band festeggerà la sua prima biografia autorizzata: l'ha scritta il giornalista torinese Paolo Ferrari, forte di una conoscenza intima dei "delfini" fin dalla partenza del loro viaggio musicale. Lou Dalfin. Vita e miracoli dei contrabbandieri di musica occitana esce per Fusta Editore, e include anche un cd antologico - Dalfipedia con 15 canzoni. La presentazione del volume si terrà venerdì 21 alle 21, presso Hiroshima Mon Amour, a Torino. Seguirà, naturalmente, concerto.

Proponiamo qui, in anteprima, le prime pagine del libro.

(Nella foto, Sergio Berardo al Liceo Artistico di Cuneo nel 1976)



Estate 1976. A maggio il Torino ha vinto lo scudetto, mentre il Friuli è stato messo in ginocchio dal terremoto. Negli Stati Uniti e in Inghilterra prende fuoco la miccia del punk. Il Partito Comunista Italiano di Enrico Berlinguer è cresciuto nel turno elettorale del 20 e 21 giugno, ma al governo va Giulio Andreotti con un monocolore democristiano e il sostegno dell'astensione espressa dagli altri partiti, su tutti quello Socialista del neo segretario Bettino Craxi. Il terrorismo miete vittime su vittime, e la tensione tra neofascisti ed extraparlamentari di sinistra è alle stelle in tutto il paese.

Un motorino "Boxer" granata sale come può lungo la strada provinciale 8 della Val Varaita. Provincia di Cuneo, la chiamano la "Granda", la grande, perché è immensa, non finisce mai. E oggi a Sergio Berardo i quasi 40 chilometri che separano la casa di Caraglio, in cui vive con i genitori, dal paese di Frassino sembrano molti di più. Ha compiuto diciotto anni il 18 aprile, e grazie alla Legge 39 dell'8 marzo 1975, che ha abbassato la soglia in precedenza fissata a 21 anni, è maggiorenne. Ha superato senza lode e senza infamia il quarto anno al liceo classico di Cuneo, ma non sono il greco e il latino a dettare il ritmo del suo apprendimento. Fino a un paio d'anni prima aveva in tasca la tessera della Federazione Giovanile Comunista Italiana, il vivaio del PCI; poi ha deciso di andarsene per entrare nel Movimento Autonomista Occitano, che non ammette iscritti legati a formazioni politiche nazionali. In quinta ginnasio ne ha creato una costola al liceo, il Movimento Politico degli Studenti Occitani. Questa però non è neppure giornata per pensare alla politica. Lui sente bruciare nel petto la musica e tutto quel che le gira intorno: le parole, l'impegno, le persone, la cultura, la festa, la lingua.



Il Boxer sale, mischia il suo ronzio alla voce delle cicale, le scorregge del motore sono schiaffi al profumo del fieno. Il carburante del due ruote si chiama miscela, quello che muove il ragazzo curiosità. Ha saputo che sono arrivati a Frassino alcuni esponenti del Conservatorio Occitano di Tolosa, laboratorio di punta in un panorama della musica d'Oc finora soltanto annusato, sentito raccontare, intuito. I musicisti francesi sono nel cuneese su invito dello stesso Movimento Autonomista, che ha organizzato per loro una piccola tournée nelle valli. Qualcuno ha telefonato a casa Berardo dalla Val Varaita, e il ragazzo è partito con il cuore in gola. Il raduno a Frassino si svolge a casa di François Fontan, fondatore nel 1959, sempre a Tolosa, del Partit Nacionalista Occitan. Esule dalla Francia per le sue posizioni secessioniste, risiede ora qui, ed è stato lui, nel 1968, a creare il MAO cui è iscritto Sergio. Dopo un'ora di viaggio il motorino trova pace all'ombra di un sambuco, così come i tolosani si godono la frescura post pranzo sotto il fico che si erge nel cortile della "meira", la casa rurale vicina al centro del paese. Berardo non ha mangiato, invece; aveva troppa fretta di correre fin qui. È un bel tipo, ha i capelli castani lunghi e due occhi blu che fanno girare la testa alle ragazze. È sempre il primo a impugnare la chitarra per fare festa o per proporre canzoni di protesta con il suo compagno d'avventure musicali Dario Anghilante. Non si tira indietro se c'è da bere un bicchiere in più o se parte una scazzottata. Ma non ha mai toccato uno strumento tradizionale. Entra nel cortile. Vede una mezza dozzina di giovani musicisti semi appisolati intorno a un tavolo, una grossa "losa", pietra tondeggiante su cui sono appoggiati gli oggetti destinati a cambiare per sempre la sua vita.

Fino a quel momento, il giovane Berardo aveva soltanto potuto fantasticare sugli strumenti tradizionali, provando a immaginarli secondo i racconti dei vecchi della zona. Andare nelle loro case o alle feste per raccogliere la memoria degli anziani era un modo per riallacciare i fili con un passato di cui il boom economico aveva espropriato i valligiani. Era successo nel dopoguerra, quando le famiglie avevano deciso di andare in fabbrica per dare ai figli un futuro diverso dalla miseria cronica che nelle valli si tramandava di generazione in generazione. Lo spirito con cui giovani occitani si impegnavano in questa operazione di recupero era lo stesso con cui Nuto Revelli si era immerso nel "Mondo dei vinti" delle Langhe. In questo modo si salvavano anche poesie, parole, canzoni, che erano entrate a fare parte del repertorio del duo. Dario e Sergio le portavano nelle piazze, nelle osterie, alle feste patronali, mischiandole agli inni di protesta di quegli anni Settanta in cui ascoltavano i Dischi del Sole con i loro canzonieri militanti. Anghilante cantava, lui suonava la chitarra, a volte il flauto dolce. Il diciassettenne di Caraglio era a conoscenza dell'esistenza di certi strumenti, ma poteva solo immaginarli. Anche per questo motivo quegli oggetti allineati sul tavolo di pietra li porterà negli occhi e nel cuore per tutta la vita come un tatuaggio impresso nella memoria. Il terremoto di un'iniziazione. Lì, sotto gli occhi di Sergio, ci sono una cornamusa landese, un frestéu, un flauto di Pan della Camargue, un flauto a tre buchi dei Pirenei, un tamburino a corde, un tamburo a cornice, un violino. Quando alza lo sguardo, incrocia quello dei giovani musicisti. Il look non è proprio da professori di Conservatorio comunemente intesi: hanno abbondanti camicioni bianchi fuori dai jeans con sopra il gilet agricolo del nonno, capelli lunghi, aria esplicitamente hippie. Quelli del Conservatorio Occitano di Tolosa sono dei fricchettoni, è chiaro. Non stonerebbero accanto ad Alan Stivell sulla copertina di "Celtic Rock", l'album che il guru della contaminazione pop folk bretone pubblica proprio in quel 1976. Sono una decina d'anni più grandi di Berardo, il ragazzino rompiscatole che ronza loro intorno pregandoli di fargli sentire come suonano quelle meraviglie dell'artigianato. Finalmente si scuotono dal torpore e impugnano gli strumenti. Parte il flauto, lo segue un tamburello, si aggiunge il violino, sale in cattedra il tamburo a cornice.



In pochi secondi Sergio entra in una dimensione completamente diversa, fatta di pelle animale, di canna, di legno, di sambuco. In quel suono incontra animali e piante; i ritmi, le melodie che producono vanno a toccare corde che erano rimaste nascoste chissà dove dentro di lui. È lo spalancarsi di un mondo, la rivelazione che nel 1992 troverà così ben sintetizzata in un passaggio della canzone "Per quel che vale", quando Paolo Conte dice: "come l'ho vista, ho detto questa è la mia". La sensazione di vivere un'esperienza decisiva è immediata, incontrare questa ciurma freak in una fase della vita aperta agli stimoli esterni come la gioventù dei 18 anni è una fortuna. Quel pomeriggio, nella meira di Fontan, il ragazzo subisce un imprinting, come le anatre di Konrad Lorenz che gli corrono dietro in quel fiume che lui, da buon valligiano, ha sempre immaginato ghiacciato.



Paolo Ferrari
Lou Dalfin. Vita e miracoli dei contrabbandieri di musica occitana
Fusta Editore 2015, 232 pp. con cd Dalfipedia allegato, € 25

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