Big stars in Barcelona

Il tributo alla seminale band di Alex Chilton, divenuta oggetto di culto fra i musicisti indie americani, e al suo capolavoro nascosto Third.

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Classico esempio di band in anticipo sui tempi, dalle fortune commerciali pressoché nulle nonostante l'enorme potenziale pop, e tuttavia amatissima dai musicisti e da un piccolo ma tenace gruppo di appassionati, i Big Star nascevano a Memphis all'alba dei Settanta. Alex Chilton aveva ottenuto una grande visibilità qualche anno prima, appena sedicenne, con i Box Tops, la cui "The Letter" era diventata un instant classic reinterpretato da chiunque, ma i primi due album a nome Big Star, #1 Record e Radio City, erano usciti nell'indifferenza generale: proponevano una ricetta che andava a pescare nel vicino passato (le armonie vocali dei Beatles, il jingle-jangle chitarristico dei Byrds) ma lo proiettava in un futuro ancora tutto da inventare, facendo da testa di ponte per il power pop in procinto di sbocciare e il rock indipendente del decennio successivo. Il terzo lavoro, opera di un duo (Chilton e il batterista Jody Stephens: Chris Bell, autore di molti dei primi brani, aveva lasciato dopo il primo album, il bassista Andy Hummel aveva mollato dopo Radio City), era un buco nell'acqua ancora più grande: disco emotivamente lacerante e ripiegato su se stesso, più disordinato dei predecessori, figlio della disillusione e di una profonda malinconia esistenziale, eppure costellato di canzoni sublimi. Un fallimento annunciato che coincideva con la fine del gruppo, un epitaffio che sarebbe uscito solo quattro anni dopo la registrazione, nel 1978.

Quando ci lasciava improvvisamente, due anni fa, Alex Chilton aveva tuttavia avuto la possibilità di fare in qualche modo pace con il proprio passato e prendersi pure qualche piccola rivincita. Dopo un difficile periodo personale, i suoi Big Star si riformavano nel 1993 su iniziativa di Jon Auer e Ken Stringfellow dei Posies, fan ancor prima che musicisti. Nel frattempo, il nome dei Big Star emergeva come influenza dichiarata dalle parole di gruppi come R.E.M., Teenage Fanclub, Replacements ("Alex Chilton" uno dei loro brani più memorabili), e nel 1984 due brani tratti dal carbonaro Third, "Kangaroo" e "Holocaust", erano stati reinterpretati nel loro debutto, It'll End In Tears, dai This Mortal Coil, house band dell'influente etichetta 4AD che in quello stesso disco aveva sdoganato presso il pubblico del dopo punk Tim Buckley e la sua "Song To The Siren". Nel 2005, poi, era pure uscito un disco nuovo, In Space. Ma Third non ha mai smesso di essere il capolavoro per pochi eletti dei Big Star, il loro lavoro più indecifrabile e struggente, le cui canzoni erano state suonate per la prima volta tutte insieme in concerto nel dicembre del 2010, in memoria del da poco scomparso Chilton. L'idea era quella di portare in concerto brani mai eseguiti dal vivo nella loro forma originaria, con tanto di partiture orchestrali recuperate, e vedeva coinvolti tra gli altri, oltre a Stephens, Mike Mills dei R.E.M., Mitch Easter dei Let's Active, Chris Stamey dei dB's.

Se la recente data londinese dell'estemporaneo e variabile ensemble che va sotto il nome di Big Star's Third ha ospitato al microfono nientemeno che Michael Stipe dei R.E.M., l'esibizione barcellonese dello scorso primo giugno, uno degli appuntamenti di spicco all'interno della quattro giorni del Primavera Sound, negli spazi acusticamente impeccabili dell'Auditori, ha rappresentato per chi scrive l'occasione di sperimentare, in una marea ormai inarrestabile di reunion e celebrazioni del passato non sempre disinteressate, un omaggio non solo toccante e sentito ma anche musicalmente compatto ed efficace nel rileggere e ritrasmettere la bellezza di quelle canzoni, senza snaturarle e senza sciuparne il fascino stropicciato. Ai musicisti citati si sono aggiunti una sezione orchestrale di archi e fiati, Auer e Stringfellow, e al microfono si sono alternati Jeff Tweedy dei Wilco (ospite a sorpresa, accolto da una ovazione nel momento in cui è partita la prima canzone, "Kizza Me"), Alexis Taylor degli Hot Chip (sua una toccante resa di "Holocaust"), Ira Kaplan e Georgia Hubley degli Yo La Tengo, la cantautrice emergente Sharon Van Etten, Norman Blake dei Teenage Fanclub, il cantautore Django Haskins. Tutti presenti di certo non per mettersi in mostra: anche questa volta i Big Star sono rimasti una faccenda per (relativamente) pochi, soprattutto se pensiamo il concerto collocato all'interno di una manifestazione che attira nel suo complesso centinaia di migliaia di persone: niente ressa come nel caso di Jeff Mangum dei Neutral Milk Hotel, caso più recente - e più indie-oriented, una delle possibili spiegazioni della popolarità presso il pubblico del festival spagnolo - di status leggendario acquisito, o della sempre carismatica Marianne Faithfull. Dopo una "Thank You Friends" strategicamente posizionata in coda, occasione per chiamare tutti quanti sul palco a cantare un frammento di strofa o ritornello, è rimasto un po' di spazio per altri classici del repertorio, tra cui "I Am The Cosmos" dello sfortunato Chris Bell (morto nel 1978 in un incidente stradale) e soprattutto una "September Gurls" interpretata in un tripudio di applausi da un Mike Mills particolarmente convincente. "Grazie amici, non sarei qui se non fosse per voi", cantava Alex Chilton. E, anche se non era presente, i "signori e le signore che hanno reso tutto questo possibile" hanno onorato la memoria della sua musica nel migliore dei modi.

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