Sotto Sequestro!

Intervista a Alberto Garcia Demestres e a Cristina Pavarotti

Articolo
classica
Il 15 e il 17 Novembre al Teatro Pavarotti di Modena andrà in scena Il Sequestro. Rimirando le mille e una notte, opera da camera in un atto di Alberto Garcia Demestres, su libretto di Cristina Pavarotti e Alberto Garcia Demestres, per la regia di Alessandra Panzavolta e con la direzione di Giovanni Di Stefano. L'opera rientra nel programma di commissioni che annualmente la Fondazione Teatro Comunale offre al proprio pubblico e quest'anno per la prima volta è stata inserita nella programmazione in abbonamento. Il libretto, che narra la storia agghiacciante di tre donne rapite ad un convegno sul biologico a Modena per opera di un killer e di una giornalista, mette in evidenza alcune problematiche ricorrenti nel confronto con il mondo dell'infanzia, quali il concetto di innocenza e di violenza. In esso, infatti, il femminile, indifeso di fronte agli aspetti più incontrollabili della natura umana, alla fine dell'Opera appare chiaramente legato da un filo sottile e parallelo a quello della mente di un bambino, a sua volta disarmato di fronte all'esposizione ad una violenza gratuita e quotidiana. Un saggio di Jack Zippes degli anni ottanta del Novecento, sulla storia dell'uso della fiaba e sui mutamenti del genere letterario nel corso dei secoli, ci chiedeva: Chi ha paura dei fratelli Grimm? L'opera in questione pare aggiungere un nuovo tassello a quei dati storici, sollecitando nuovamente la domanda.

La destinazione iniziale della commissione era la Rassegna "Musica su misura", ora, invece, si trova nella programmazione del cartellone 'per adulti'. C'è una motivazione precisa?

Demestres: Sono stato contattato dal Maestro Sisillo per una commissione sulle fiabe delle Mille e una notte: una proposta alettante, quanto difficile, data la complessità d'incastri cui è soggetta l'intera struttura della raccolta. Ho accettato, quindi, considerando la possibilità di una rilettura attuale del tema in termini di multiculturalità e multietnicità nella città di Modena. Ai diversi piani narrativi ho fatto corrispondere, così, diverse facce, interiori ed esteriori, di ognuno di noi. Ho chiesto a Cristina Pavarotti, amica fraterna oltre che esperta in drammaturgia operistica, di collaborare con me nella stesura del libretto e lei ha accettato di buon grado. Per quanto riguarda la destinazione, io sono convinto, contrariamente a Cristina, che l'Opera Lirica in generale sia per tutti, se fatta bene, e non da distribuirsi per fasce d'età. Altrimenti dovremmo chiederci se l'Opera sia una cosa 'per anziani'...!
Pavarotti: Il soggetto della commissione era effettivamente molto affascinante! Ciò che era chiaro ad entrambi sin da subito era il protagonismo assoluto della donna in questa raccolta e per questo abbiamo pensato di concentraci su questa prospettiva, senza tuttavia dimenticare il legame con l'infanzia. Abbiamo scelto la storia Una donna fatta a pezzi e attorno ad essa abbiamo costruito gran parte delle azioni dell'intreccio: un atto di violenza perpetrato attraverso un gioco perverso ed estremo di reality in ciò che si rivelerà essere la realtà-incubo di un bambino, a sua volta chiave di salvezza finale. Trovo che una delle funzioni dell'Opera sia da sempre quella di estremizzare le figure della vita per poterle esorcizzare e combattere con consapevolezza; ma penso anche che ci siano diversi tipi d'approccio.

In pratica, l'evento appare come una specie di "vietato ai minori di". Quali minori? Esiste la censura anche nell'opera? Se sì, allora vien da pensare che l'opera non sia morta, ma estremamente vitale...è così?

Pavarotti: Per minori in questo caso s'intende bambini sotto i dodici-tredici anni. Sì, esiste l'Ufficio censura del testo. Non si può prescindere da esso nel momento in cui si costruisce un'opera da destinare a minori. In questo caso, negli intenti, la presenza di bambini/ragazzi era duplice, non solo come partecipazione di pubblico in sala, ma anche per il coinvolgimento in scena. Ciò che mi rende tutt'ora dubbiosa è la discriminante usata dalla censura, che mira sostanzialmente ad epurare termini volgari di uso comune, senza preoccuparsi della violenza dei temi trattati e mostrati (alcuni, tra l'altro, di estrema attualità dopo le vicende del macedone Vlado Tanevski, giornalista killer, e di Wallace Souza, presentatore televisivo brasiliano legato al narcotraffico). Noi avevamo intenzione di scrivere qualcosa che fosse lo specchio della quotidianità, di conseguenza non potevamo esimerci da un uso verbale che ne fosse diretta espressione. Questo ci ha creato alcuni problemi, soprattutto nell'uso di termini legati alla sessualità. Credo che il sesso sia tutt'ora un grande tabù e come madre ne comprendo i timori, ma mi sconvolge il fatto che non sia più propriamente controllato nei dilaganti cliché visivi della pubblicità o delle trasmissioni televisive.

Cosa delimita la destinazione? La trama o il modo in cui viene trattato l'intreccio? Sono il testo musicale o quello letterario a determinare il confine?

Pavarotti: Il paradosso sta proprio qui. La musica è la dominante prevalente nell'Opera Lirica. Ci sono parti di questo libretto che a leggerle non sono poi così raccapriccianti quanto appaiono nell'unione con la musica di cui fanno parte! Ma la comprensione della scrittura musicale, o degli effetti che essa può avere sul pubblico associata alle parole e alle figure, non è considerata come termine significativo in questi casi.
Demestres: Il mio progetto compositivo mette in atto un triplice percorso, di cui si acquista consapevolezza progressivamente seguendo il filo narrativo. L'immagine del sogno, l'effetto surreale della storia, si rivela solo alla fine grazie a questa molteplice costruzione. Il pubblico viene condotto 'per mano' ad una consapevolezza finale: di sé, della storia, e del materiale musicale nel quale è stato immerso. L'impatto emotivo per me è fondamentale. Nella mia scrittura ricerco l'emozione muovendomi in modo ironico tra forme classiche e d'avanguardia. Qui, in particolare, mi sono avvalso della teoria psicologica del contrasto esposta da Robert Plutchik. Ma l'emozione è frutto anche della realizzazione. È legata al momento, all'istantaneità dell'esecuzione. Dipende dagli interpreti, dalla regia, dalle luci, dall'ampiezza dell'organico. Il problema delle opere contemporanee è la scarsità di fondi economici e non si può pensare che una formazione da camera possa offrire lo stesso risultato di un'intera orchestra. A seconda della formazione abbiamo, infatti, una diversa percezione della scarica emotiva. Opportunità come questa di Modena sono tuttavia ammirevoli (io in particolar modo sono debitore al Direttore del Teatro, Aldo Sisillo, che ha saputo attendere alla risoluzione di miei gravi problemi di salute) e credo che con questo organico (pianoforte, sax, clarinetto, violino, violoncello e tastiera elettronica) otterremo già dei buoni risultati.

L'Infanzia in quest'opera appare come protagonista? come oggetto o come soggetto della trama?

Demestres e Pavarotti: Soggetto!! Sotto ogni prospettiva. Lo dimostra la stessa costruzione del tessuto musicale, ricco di riferimenti al patrimonio popolare italiano (operistico e non) elaborato in forma di variazione, ma anche vicino alla costruzione metrica delle filastrocche, dei giochi, delle cantilene e in particolare alla fiaba in versione emiliana del Lupo e i sette capretti. Noi stessi ci siamo divertiti (e liberati) a tornare bambini in essa.

Infine, una domanda provocatoria: un compositore considera l'infanzia come un registro vocale, come una massa timbrica interessante (e quindi come uno strumento qualsiasi), al quale far riferimento anche in virtù di variegati valori simbolici, o valuta moralmente le menti in formazione delle voci bianche e quindi opera in termini educativi su di loro?

Demestres: Io considero principalmente il timbro, la particolarità vocale. Sono abituato a lavorare da anni con il preparatissimo Cor Vivaldi dei Petit cantors de Catalunya. Mi sono assuefatto a sonorità molto esclusive dalle quali la mia mente creativa non riesce più a prescindere. Inoltre credo che, se in una storia è compresa la presenza di una figura infantile, questa debba essere interpretata da un bambino, per il principio di verosimiglianza. L'educazione è certamente importante, ma non dobbiamo per questo essere ipocriti e pensare che ciò che vede coinvolta l'infanzia debba essere semplicistico e banale.

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Articolo in collaborazione con Fondazione Ferruccio Busoni Gustav Mahler